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Il pianista suonava Gershwin. Apt si infilò in bocca un’altra nocciolina. Non aveva neppure toccato il whiskey smash, un cocktail costato diciannove dollari, che ora stava posato davanti a lui, sul bancone di granito nero del bar.
Si trovava nel Bemelmans Bar del lussuoso Carlyle Hotel in Madison Avenue, a solo qualche isolato di distanza dall’appartamento di Lawrence. Carl sapeva che era rischioso andare lì, ma non gli importava. I camerieri in giacca bianca, l’arredamento art déco, l’illuminazione da sogno... quello era uno dei suoi posti preferiti, come il Tea Garden al Plaza Hotel o il 21 Club.
Si osservò nello specchio del bar. Polo nera aderente Dior Homme, jeans neri strettissimi Raf Simons, un pesante Rolex President d’oro. Elegante, sicuro di sé, una certa tracotanza derivante dal denaro, Carl era nel proprio ambiente. Il che era piuttosto strano, considerate le sue origini.
Lui era partito da zero, anzi da sottozero. Era cresciuto nell’Appalachia, in un posto chiamato Manette Holler, Pennsylvania, vicino al confine con il West Virginia. La sua famiglia era poverissima e viveva in una roulotte parcheggiata accanto al deposito di un robivecchi. La madre, un’alcolizzata e drogata, quasi del tutto senza denti, lavorava saltuariamente nel Burger King del posto di ristoro quando non era impegnata a fare marchette con gli autisti dei camion nel parcheggio sul retro.
Suo zio Shelly era il proprietario del deposito. Quel sadico figlio di puttana era solito picchiarlo solo per il gusto di farlo. Dopo un po’, Carl ci aveva quasi fatto l’abitudine. Anche a scuola i bambini più grandi cercavano di picchiarlo, ma non erano niente in confronto a quel bastardo di suo zio.
Per lui l’esercito era l’unico modo per andarsene da Manette Holler e prese la decisione a diciassette anni. L’Ottantaduesima divisione aviotrasportata era stato il realizzarsi di un sogno... tre pasti al giorno e un posto dove dormire. Gli avevano insegnato a uccidere e a sopravvivere in zone selvagge. E lui era uno che imparava in fretta.
Avrebbe continuato a servire il suo Paese nelle Forze Speciali se non lo avessero cacciato. Una volta fuori, era entrato in clandestinità. Costa est, da Key West al Maine. Girovagava di qua e di là, viveva per strada, sull’Appalachian Trail, si spostava con i treni merci.
E così avrebbe continuato a fare per il resto della sua vita se non avesse incontrato Lawrence, il quale non solo aveva scoperto che lui era affetto da dislessia, ma gli aveva insegnato a vincerla. All’età di trent’anni, Carl aveva conosciuto la lettura. Lawrence era stato il suo benefattore e il suo precettore, come Aristotele lo era stato per Alessandro Magno.
Pensò a tutti i libri, i pasti e le discussioni di cui aveva goduto. Com’era bello leggere tranquillo vicino alla finestra mentre il vento ululava tra gli alberi di Central Park. I viaggi su in Connecticut in autunno lungo la Route 7, col motore della Mercedes che faceva le fusa. Sarebbe potuto andare avanti così per il resto della sua vita. Felice, da solo, a fare la bella vita, la vita sobria e pulita della mente.
Ma poi a Lawrence era stata diagnosticata una malattia e avevano scoperto che il suo grande cuore stava per cedere. Aveva pensato che tutte quelle belle cose sarebbero finite. Era stato allora che Lawrence era andato da lui con la sua proposta niente affatto modesta. Se lui avesse eliminato tutti i nemici di Lawrence, la sua istruzione e le sue scoperte estetiche sarebbero proseguite per il resto della sua vita, a spese di Berger. Quando l’ultima persona sull’elenco di Lawrence fosse stata eliminata, Carl avrebbe ricevuto il numero di un conto bancario a Ginevra.
In fondo, aveva ucciso per il suo Paese per la stessa cifra che sua madre guadagnava al Burger King. Uccidere per il suo amico in cambio di un’eredità di venti milioni non era un problema.
Apt mangiò qualche altra nocciolina, spostando lo sguardo da destra a sinistra e poi da sinistra a destra, come un falco appollaiato su un palo della luce. Girò il suo drink e continuò a osservare le persone sedute ai tavoli. Una divorziata rifatta in caccia. Un playboy, tutto azzimato e vestito Prada da capo a piedi, basso e con la pelle scura in compagnia di tre splendide donne asiatiche. Un modello di colore in giacca sportiva bianca che continuava a cercare di attirare la sua attenzione.
Poi la vide, una bionda prosperosa sulla trentina, seduta all’estremità opposta del bancone. Aveva un’aria sexy, da gran troia, un fascino alla Marilyn Monroe.
Carl sapeva che il suo nome non era Norma Jeane Baker ma Wendy Shackleton. Era finita sull’elenco di Berger perché una sera si era presentata da lui, mandata da un servizio di escort, gli aveva lanciato un’occhiata e aveva girato sui tacchi. Quella puttana aveva respinto il suo caro amico prima ancora che lui potesse aprir bocca. Aveva ferito a morte i suoi sentimenti. Pessima mossa.
Carl incrociò il suo sguardo e le si avvicinò con il bicchiere in mano.
«Good-bye, Norma Jeane. Though I never knew you at all» cantò, prendendole la mano mentre le si sedeva accanto.
Lei fece una risatina discreta.
«Mi scusi» disse Carl, lasciando andare la mano un secondo dopo. «Che sfacciato. La mia società di computer si è appena quotata in borsa e lei è la donna più bella che io abbia mai visto. Potrebbe essere Marilyn in persona.»
«Lei è molto gentile» disse la donna, osservandolo con aria di approvazione. «Sta qui in albergo?»
«Sì» rispose lui. «Questa mattina ho suonato la campanella all’apertura delle contrattazioni, giù in Borsa. È stata una delle giornate più eccitanti della mia vita, e ho bisogno di qualcuno con cui condividerla. La prego, la prego, la prego, lasci che le offra qualcosa da bere.»
«Certo, certo, certo» rispose lei con una risatina. «Che gentiluomo. Sta cercando compagnia per stasera?» gli bisbigliò all’orecchio quando arrivò il suo dirty martini da venti dollari.
«Oh» fece lui, fingendosi sorpreso. «Uau! Lei è...»
«Una professionista» disse lei, annuendo con un sorriso. «La disturba?»
«Se mi disturba? Semmai mi turba. Nel miglior modo possibile. Come funziona?»
«Tu non sei un poliziotto, vero?»
Carl rise e bevve un sorso del suo whiskey smash.
«Niente affatto.»
«Lo sapevo. Come funziona? Vediamo. Tu mi dai mille dollari e io ti faccio passare una serata indimenticabile.»
«Ehi, allora diamoci da fare» disse Carl, prendendole di nuovo la mano.
Mentre scendeva dallo sgabello lei gli diede un colpo nel ginocchio malato.
«Scusa» disse.
«Nessun problema» rispose Carl, con le lacrime agli occhi. Avrebbe pagato anche per quello, pensò lui.
Quando uscirono dal bar diretti verso l’ascensore nella magnifica hall, Carl prese a zoppicare visibilmente.
«Sicuro che è tutto a posto?»
«Una vecchia ferita di guerra» disse Carl. «Non ti preoccupare. Tutto il resto funziona alla perfezione.»
«Mi fa piacere sentirlo. Come devo chiamarti?»
«I miei dipendenti mi chiamano signor Rifkin» rispose. «Ma tu puoi chiamarmi Joel.»