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Passammo in tutta fretta la nostra ultima scoperta ai ragazzi del laboratorio fotografico al terzo piano e loro ingrandirono l’immagine, preparando un’immensa locandina con identikit e foto fianco a fianco. Ancora meglio, quelli dell’ufficio per le Relazioni con il pubblico dissero che l’avrebbero mandata subito alle redazioni dei telegiornali perché la trasmettessero già nei notiziari della giornata.

Lasciammo il quartier generale verso le sei, e accompagnai Emily al suo albergo sulla Sessantatreesima Ovest, dove non si era ancora registrata. Scoprimmo che l’Empire Hotel aveva un bar ristorante sulla terrazza all’ultimo piano e decidemmo di cenare lì. Mentre lei si dava una rinfrescata, io salii a bere qualcosa nello spettacolare bar all’aperto.

Mentre aspettavo, appoggiato alla ringhiera del tetto, inviai un SMS con le ultime novità a Miriam. Mi sentivo così caritatevole che informai Cathy Calvin degli ultimi sviluppi con l’ordine esplicito di non dire che li aveva saputi da me.

Misi via il telefono e dal mio punto di osservazione al dodicesimo piano ammirai le luci del Lincoln Center e della Broadway accendersi mentre il cielo si faceva buio. Fissai l’angolo dove un paio di operai stavano infilando un cavo a fibra ottica in una botola. Li invidiai perché mi sembravano tranquilli e ignari dei problemi del mondo. Niente psicopatici di cui preoccuparsi, niente bambini uccisi, niente capi, giornalisti o sindaci che chiedevano la loro testa su un vassoio. Probabilmente si stavano pure beccando uno straordinario. Chissà se la compagnia dei telefoni assumeva?

Vidi Emily uscire sulla terrazza. Si era tolta la giacca e sciolta i capelli.

Conquistammo un tavolo in un angolo tranquillo e ordinammo dal menu del bar.

Davanti a hamburger di manzo di Kobe e a Brooklyn Lager gelate ci aggiornammo sulle rispettive vite. Emily mi raccontò delle peripezie di sua figlia per imparare a nuotare nella piscina cittadina, io stavo per dirle della faida ancestrale in cui la mia famiglia era coinvolta a Breezy Point, ma poi decisi che era meglio se lei mi considerava almeno un po’ sano. Avvicinai la sedia a quella di Emily e ci mostrammo le foto dei figli sui cellulari.

Dopo un altro giro di birre, le raccontai del mio colloquio con il Figlio di Sam.

«Secondo te davvero non sa cosa sta succedendo?» mi chiese Emily.

«Se mente, è davvero bravo.»

«Più bravo di te» disse Emily, sorridendomi da sopra la bottiglia di birra.

«E anche più di te» ribattei, ricambiando il sorriso.

La conversazione proseguì con naturalezza. Troppa. Era scoccata una scintilla tra noi? Probabilmente sì, visto che sarei potuto restare lì su quella terrazza a bere e a guardare le luci con Emily per il resto della mia vita. Quando il cameriere si avvicinò con il conto, avrei voluto arrestarlo.

Riluttanti, entrammo in ascensore e ci fermammo al settimo piano, dove si trovava la sua camera.

«Ci vediamo domani, Mike» disse lei dopo un momento di imbarazzo durante il quale probabilmente avrei dovuto dire qualcosa tipo: «Ehi, cosa ne dici di un bicchierino della staffa in camera tua?»

«Allora a domani» risposi.

Mi diede una tiratina alla cravatta e uscì in corridoio.

Idiota, urlai dentro di me.

«Ehm» dissi, bloccando la porta scorrevole col dorso della mano e facendomi un male cane.

«Sì?»

«Grazie.»

«Io non ho fatto niente.»

«E invece sì. Eccome.»

Conto alla rovescia: Un caso di Michael Bennet, negoziatore NYP
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