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Nel tardo pomeriggio di domenica mi trovavo sul patio sul retro della mia modesta casa di vacanza a Breezy Point. Sparpagliati intorno a me c’erano tavole da surf e gonfiabili di ogni foggia mezzi sgonfi, e sulla ringhiera sbiadita dal sole erano appesi tanti teli da mare quante sono le bandiere alle Nazioni Unite.

Ero tornato nel mio elemento, nella mia green zone.

Casa dolce, caotica casa.

Me ne stavo sdraiato sulla poltrona reclinabile da spiaggia con i miei orrendi calzoncini da bagno verde fosforescente, i piedi sollevati. Avevo persino una lattina mezza piena di Tecate infilata nell’apposito portabibite. L’unico aspetto negativo, suppongo, erano le foto a dominante rosso sangue scattate sulla scena del crimine che mi fissavano dal fascicolo che tenevo aperto in grembo.

Abbassai lo sguardo, costringendomi a esaminare di nuovo i resti di Paulina Dulcine. L’ufficio dell’anatomopatologo aveva detto che alla poverina erano stati strappati i denti con un paio di pinze. Dagli appunti di Emily avevo appreso che Joel David Rifkin aveva commesso la stessa atrocità sulla sua prima vittima, all’inizio degli anni Novanta. Gettai il fascicolo sul tavolino pieghevole accanto a me con un gran sospiro. Carl Apt aveva una vera fissazione per i dettagli.

Come se non fossi già abbastanza depresso, uno dei miei colleghi della task force Grandi Crimini mi aveva appena mandato un SMS dicendo che girava voce che il capo McGinnis volesse incontrare me ed Emily di persona per un rapporto dettagliato sul chi-cosa-quando-dove-come-e-perché dell’omicidio di Paulina Dulcine. Un’altra lavata di capo. Divertente e più che altro proficua. Non vedevo l’ora.

Avevo appena finito la mia birra e stavo facendo una gara di sguardi con un gabbiano dall’aria sospetta appollaiato sulla grondaia mangiata dalla ruggine, quando squillò il cellulare.

Sorrisi nel vedere il numero. Era il mio. Qualcuno, dentro casa, mi stava facendo uno scherzo.

«Detective Bennett, Dipartimento di polizia di New York. Chi parla? Chi osa disturbarmi?» ringhiai con il mio miglior tono da duro.

«Ehm, pronto, detective» disse Eddie a voce bassa, cercando di non farsi riconoscere. «Vorrei denunciare un reato.»

Li avevo espressamente avvertiti che dovevo lavorare e che avrebbero dovuto lasciarmi in pace, ma cominciavano a dare segni di agitazione. E chi poteva biasimarli? Nell’ultima settimana non ero stato molto a casa.

Stavo per riattaccare, quando mi cadde l’occhio su un oggetto posato sul tavolino e mi venne un’idea migliore.

«Be’, ha chiamato la persona giusta, signore» dissi, alzandomi senza far rumore e prendendo la grossa pistola ad acqua dal tavolino prima di scendere i gradini del patio. «Mi dica di che reato si tratta, per favore.»

«Be’, si tratta di un rapimento» rispose Eddie mentre io giravo rapidamente intorno alla casa.

Mi fermai al rubinetto per caricare la pistola, quindi superai con un salto la balaustra del portico sul davanti della casa.

«Rapimento? Be’...» dissi, sbirciando attraverso la zanzariera. Vidi Eddie che mi rivolgeva la schiena e Trent che si contorceva dalle risate accanto al telefono della cucina. «È un reato grave. Qual è il nome della vittima?»

«Mutanda» rispose Eddie, senza battere ciglio. «Johnny Mutanda.»

Trent sghignazzò e diede un pugno sulla gamba di Eddie. Io stesso fui costretto a fare uno sforzo per non scoppiare a ridere. Eddie era un ragazzo molto spiritoso. Maeve e io dicevamo sempre che avremmo dovuto dargli come secondo nome Murphy. I ragazzi sembravano decisamente più su di morale da quando quel Flaherty era stato messo al guinzaglio.

«Il signor Mutanda. Capisco» dissi, aprendo la zanzariera senza fare rumore. «E in che rapporto siete, voi due?»

«Be’, a dire il vero è mio padre» disse Eddie. «Non lo vediamo da giorni. E non è da lui. Be’, a dire il vero, in un certo senso lo è. Siamo seriamente preoccupati che possa essere un maniaco. Un maniaco del lavoro.»

«Lei è fortunato, signore. Credo di sapere dove si trova il signor Mutanda» sussurrai prendendo la mira dalla soglia.

«Dov’è?» disse Eddie.

All’ultimo istante, Trent che si era chinato per ridere, si rialzò e piegò lievemente la testa di lato, come un cervo che ha sentito il rumore di un ramoscello spezzato.

«Esattamente dietro di te!» urlai più forte che potei.

Eddie mollò il telefono. Trent urlò. Prima che potessero riprendere fiato, li colpii.

«Oh, mi dispiace. Vi ho bagnato le mutande?» dissi, annaffiandoli con l’enorme pistola ad acqua a due canne.

Tra i due, Trent ebbe decisamente la peggio. Quando riuscì a sgattaiolare via, urlando, sembrava che gli avessero rovesciato un secchio d’acqua sulla testa.

«In nome di Gesù, Giuseppe e Maria, cosa sta succedendo qui?» disse Mary Catherine accorrendo dal piano di sopra.

«Sono stati loro a cominciare, lo giuro» dissi, nascondendo la pistola ad acqua dietro la schiena.

Conto alla rovescia: Un caso di Michael Bennet, negoziatore NYP
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