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Accesi il televisore con l’audio azzerato mentre smistavo i miei appunti e i fascicoli del caso.
Erano tantissime scartoffie. C’era così tanto materiale da vagliare, da assimilare. E non ero neppure certo che non stessimo gettando via il tempo seguendo la nostra ultima teoria. La minaccia concreta di un ennesimo omicidio privo di senso e di scopo se non quello di imitare un altro crimine non mi aiutava certo a concentrarmi.
Mi stavo alzando per sostituire la bottiglia di birra con un caffè quando squillò il cellulare. Lo presi dal divano.
Guarda, guarda, pensai, fissando il display con occhio torvo. Era Miriam, il mio capo. Ma quella donna non dormiva mai?
«Cattive notizie, Mike» disse, quando commisi l’errore di rispondere. «Ho appena finito di parlare con il commissario. Pare che voglia affidare ad altri la gestione della task force. La squadra Grandi Crimini è fuori. Il caso passa alla Omicidi di Manhattan Nord. Noi continuiamo a far parte della task force, ma lui vuole – testuali parole – una nuova prospettiva investigativa.»
«Nuova? Con quelle schiappe di Manhattan Nord? E vuole metterci fuori proprio adesso? Proprio quando il ghiaccio sta cominciando a rompersi?»
«Lo so, Mike. Sono un sacco di stronzate. Il capo dei detective ci sta fregando solo perché glielo lasciano fare. Domani mattina gestiremo ancora noi la riunione della task force, ma poi basta. Era giusto informarti.»
«Mi dispiace. Mi sento come se ti avessi deluso, Miriam.»
«E come credi che mi senta, io? Ti ho richiamato dalle ferie solo per farti fregare. Non prendertela. Sei sempre il mio uomo di punta. È che certe volte non si riesce a trovare la pista giusta abbastanza in fretta.»
Riattaccai cercando di assimilare quanto avevo appena appreso. Stavo facendo un sospiro sconsolato quando mi arrivò un SMS. Era Emily.
Sei ancora sveglio?
Avevo quasi dimenticato che Emily era ancora fuori, in giro per la città. Originariamente avremmo dovuto incontrarci per cena per fare il punto su quanto avevamo scoperto, ma quando l’avevo chiamata, prima, lei era ancora impegnata in un colloquio.
Stavo per rispondere: A malapena, ma poi mi ricordai che non avevo più dodici anni, e decisi di chiamarla.
«Ciao» dissi, quando rispose. Stabilii di non comunicarle la ferale notizia della mia prossima destituzione pubblica. Lo avrebbe scoperto l’indomani, insieme al resto di New York.
«Credevo dovessimo incontrarci per confrontare gli appunti» le dissi.
«Sai com’è, Mike. I migliori piani di federali e topi...» rispose lei. Sentii il rumore del traffico in sottofondo. «Tra duecento metri girare a destra» disse il GPS di Emily con la sua voce computerizzata irritante e distaccata.
«Dopo essere andata a parlare con la famiglia di una delle vittime dell’attentato alla Grand Central mi sono persa» disse Emily. «Newark è difficile da girare con tutte quelle superstrade e autostrade a pedaggio.»
«Sei a Newark?» chiesi, sorpreso. «Ma sei pazza? Ti ho dato tutte le vittime di Manhattan proprio perché non dovessi andare troppo lontano, topo di campagna.»
Non riuscivo a credere che Emily ci mettesse così tanto impegno. Non era neppure un suo caso, e lei stava facendo sforzi sovrumani. Ma poi capii. Era perché quello era il mio caso. Non solo si era offerta volontaria, ma stava facendo l’impossibile per farmi fare una bella figura.
«Cosa c’è che non va a Newark?» disse.
«Niente, se ti piacciono le gang, la droga e le sparatorie. Avresti dovuto chiamarmi.»
«Ti prego. A dire il vero sono appena scesa dal George Washington Bridge» disse Emily, sopra la voce del GPS che blaterava qualcosa a proposito della corsia di destra. «Sono dalle tue parti, no? Sei troppo stanco per una riunione?»
Mi ringalluzzii. Il caso era ancora mio fino all’indomani. Forse, dopotutto, potevo ancora farcela. All’improvviso mi tornò in mente il commento di Mary Catherine quando mi aveva chiesto a chi avrei dato il bacio della buonanotte.
«Sono perfettamente sveglio, Emily» risposi. «Chiedi a quel maledetto aggeggio se sa come arrivare in West End Avenue.»