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Erano le sette e un quarto del mattino e faceva già molto caldo quando Berger, alla guida del grosso furgone a noleggio della Budget, scalò marcia con un rombo e accostò al marciapiede su Lexington Avenue, vicino alla Quarantaduesima. Nonostante fosse ancora presto, centinaia di persone in abiti da ufficio si riversavano fuori dalla Grand Central come topi in fuga da una nave in fiamme.
Berger tirò il freno a mano e scese lasciando il motore acceso. Indossava un berrettino degli Yankees con la visiera all’indietro, jeans tagliati al ginocchio, scarponcini da lavoro e un paio di occhiali da sole economici con le lenti giallo-verdi, comprati da CVS. Una canottiera e una catena d’oro con appesa una testa del Cristo completavano il look da camionista.
Con movimenti ostentati abbassò la rampa e sollevò la serranda di acciaio, quindi tirò fuori il carrello a mano su cui erano già caricati tre pacchi di copie del New York Times legati con fascette di plastica. Portò il carrello sulla rampa idraulica del camion e cominciò ad abbassarla con un ronzio.
Facendosi largo tra i pendolari che affollavano il marciapiede, portò rapidamente il carrello dentro l’immensa stazione. Dentro il grande spazio che ricordava una cattedrale, centinaia di persone correvano in ogni direzione come ragazzini in un gioco delle sedie, per arrivare al lavoro prima del suono della campanella di Wall Street.
Un poliziotto dell’Antiterrorismo basso e grasso con un M16 a tracolla si lasciò sfuggire uno sbadiglio mentre Berger gli passava davanti e scaricava i pacchi accanto a un’edicola affollata che si chiamava Latest Edition ed era adiacente alla sala d’attesa principale. L’asiatico piccoletto dalla pelle color mogano dietro il banco uscì dal negozio con un’espressione perplessa mentre Berger girava il carrello con un cigolio.
«Ancora Times?» disse l’uomo. «Dev’esserci un errore. Ho già ricevuto la consegna.»
«Cosa?» fece Berger, alzando le braccia. «Stai scherzando, amico. Avrei già dovuto finire il giro, ma la centrale mi ha appena chiamato dicendomi di recapitare queste. Adesso li richiamo, ’sti stronzi. Ho lasciato il cellulare sul camion. Torno subito.»
L’asiatico scosse la testa davanti alla pila di giornali che gli arrivava a metà torace, mentre Berger si allontanava in fretta con il carrello.
Passando davanti al poliziotto, Berger prese dalla tasca dei tappi antirumore ad alta protezione e se li infilò nelle orecchie. Poi svoltò nel corridoio che portava all’uscita di Lexington Avenue, tirò fuori il cellulare e compose il numero del telefonino che avrebbe attivato il detonatore della grossa bomba nascosta tra i giornali che aveva appena consegnato.
Trasalì quando i venticinque chili di plastico esplosero con un fragore assordante. A tre metri dall’uscita, un pezzo di marmo color crema grande quanto una pizza gli sfrecciò accanto come un disco da shuffleboard, seguito da una valigetta. Berger uscì in strada accompagnato da una nuvola di polvere e di fumo rovente.
Fuori, sulla Lexington, le auto si erano fermate. Sul marciapiede le persone erano rivolte verso l’ingresso della stazione, immobili come le figure del plastico di un trenino elettrico. Berger spinse il carrello giù dal marciapiede e si allontanò dal camion che aveva lasciato parcheggiato. Attraversò la strada e svoltò all’angolo con la Quarantatreesima, camminando a passo svelto con la testa china e l’iPhone stretto nella mano.
Giunto a metà dell’isolato, inspirò a fondo e compose il numero dell’altro cellulare, quello collegato all’ordigno incendiario nella cabina del camion.
Qualcuno urlò. Quando si voltò indietro a guardare, vide una colonna di fumo denso e nero levarsi tra i grattacieli.
Aveva seriamente preso in considerazione l’ipotesi di riempire il retro del camion con nitrato d’ammonio e gasolio, come aveva fatto l’attentatore di Oklahoma City, ma alla fine aveva deciso di limitarsi a provocare un incendio a bordo come diversivo.
Gettò via berretto, occhiali e catena d’oro, scuotendo la testa, incerto per un attimo.
Ogni cosa a tempo debito, pensò.
Arrivato sulla Terza Avenue, prima di puntare a nord si voltò di nuovo a guardare la nube nera come l’inchiostro che si levava a spirale nel cielo estivo. Cominciavano a sentirsi le prime sirene in lontananza.
Questa volta Berger sapeva di non aver oltrepassato il limite.
Lo aveva solo cancellato.