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Non ero sicuro di che ora fosse quando mi svegliai, madido di sudore, nell’oscurità più profonda della mia camera nella casa al mare. Era presto. Decisamente troppo presto.
Dopo qualche minuto, capii che non sarei riuscito a riaddormentarmi, e così decisi di sfruttare il fatto di essere sveglio per tornarmene al lavoro mentre tutti erano ancora a letto. Senza contare che era venerdì e questo mi avrebbe dato la possibilità di finire prima ed evitare il traffico del weekend. Per lo meno, quella era la mia versione e a essa mi sarei attenuto.
Quando entrai a Manhattan il sole stava sorgendo alle mie spalle. Accanto a un’edicola vidi che il Post aveva messo in prima pagina l’immagine ripresa dal video della sicurezza sotto il titolo IL VOLTO DEL MALE. Per una volta, la stampa l’aveva imbroccata. Io non avrei saputo esprimermi meglio.
Era così presto che davanti al quartier generale non si vedeva un solo giornalista. L’uccellino mattiniero frega i vermi, pensai, mentre una guardia dall’aria assonnata sollevava la sbarra del parcheggio.
Entrai nella sala operativa deserta e trovai una pila di messaggi sulla scrivania, lasciati lì dagli uomini del turno di notte. Speravo che l’aver trasmesso il video della sicurezza e l’identikit durante i notiziari avesse dato qualche frutto, ma trovai solo quindici confessioni di mitomani e i messaggi di due svitati che ci offrivano il loro aiuto.
Li gettai nell’archivio cilindrico dei messaggi indesiderati sotto la scrivania, poi feci qualche veloce telefonata ai poliziotti che avevamo messo di guardia su tutte le scene dei crimini precedenti.
Nessuna novità neanche lì. Il killer non era tornato sui suoi passi. Quando aprii la casella di posta elettronica scoprii che la Scientifica non era riuscita a trovare impronte digitali sul passeggino sul quale era stata trovata la piccola Angela. Nonostante i progressi fatti, pareva fossimo ancora molto lontani da una soluzione.
Mentre mi guardavo attorno nell’ufficio deserto decisi di fare una cosa astuta. Cercai di pensare a cosa avrebbe fatto Emily Parker. Lei avrebbe fatto un bel respiro profondo e avrebbe esaminato la situazione pazientemente, con distacco, senza demoralizzarsi. Sembrava impossibile, ma decisi comunque di provarci. Misi su una caraffa di caffè, tornai alla scrivania e feci un po’ d’ordine.
Per prima cosa mi infilai gli occhiali da vista ed esaminai i fascicoli che Emily aveva preparato per me sui killer imitativi. Tra essi ne spiccava uno in particolare, un serial killer che aveva agito a New York durante i primi anni Novanta.
Si chiamava Heriberto Seda ed era un giovane disturbato di Brooklyn che aveva ucciso tre persone e ne aveva ferito altre quattro con pistole rudimentali fatte in casa. Biglietti indirizzati alla polizia trovati accanto alle vittime affermavano che lui era il famoso assassino dello Zodiaco degli anni Sessanta a San Francisco, trapiantato a New York. Quando fu finalmente catturato, disse alla polizia che si identificava con Zodiac perché aveva terrorizzato un’intera città senza essere mai preso.
«Avevo bisogno di attenzione» aveva affermato. «Per una volta nella mia vita, mi sono sentito importante. Mi sentivo solo, soffrivo. Non ho amici.»
Con questa premessa ben chiara nella mente, mi versai una tazza di caffè appena fatto e sistemai sulla scrivania i fascicoli dei sei casi. Quattro erano stati realizzati secondo le modalità di George Metesky, il Bombarolo Pazzo. Due imitavano le gesta del Figlio di Sam, l’ultimo quelle di Albert Fish, il Vampiro di Brooklyn.
Come poteva il nostro uomo identificarsi con tutti e tre quei criminali?
Sorseggiai il caffè e mi appoggiai allo schienale della poltroncina fissando il controsoffitto e riflettendo. Non mi sembrava verosimile. Sebbene quei tre fossero tutti degli psicopatici violenti, ognuno di loro lo era in un modo tutto suo. Il Bombarolo Pazzo era un dipendente rancoroso della Con Edison, molto probabilmente in cerca di vendetta. Il Figlio di Sam era più simile a Seda, un poveraccio in cerca di pubblicità che uccideva per un perverso desiderio di potere, fama e attenzione. Albert Fish rientrava nel profilo del classico sadico psicopatico, come Ted Bundy, un uomo senza alcun interesse per la celebrità, che si eccitava sessualmente infliggendo dolore.
Afferrai una matita e la feci ruotare tra le dita. Come poteva una persona cercare vendetta, brividi perversi e provare piacere nell’infliggere dolore, tutto nello stesso momento?
Non era possibile, pensai, e lanciai la matita cercando di conficcarla nel soffitto, ma senza riuscirci. Non aveva alcun senso.