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Domani.
Domani sarebbe stato quello giusto.
Illudendosi così, per giorni e settimane, tutte le sere prima di chiudere gli occhi, Giovenca trovava la forza di sopportare la snervante attesa.
Nella colorata fantasia, benché fosse ormai ottobre, lei si sarebbe alzata e guardando dalla finestra della sua camera avrebbe visto stagliarsi all’orizzonte, nero nero su una netta linea tra il verde della campagna e l’azzurro del cielo, il postino che le recava la buona novella: la convocazione del lodevolissimo Notaro Editto Giovio che le spalancava le porte della vita, della felicità.
Così conteneva pure gli ardori del Novenio, che si consumava in sfinenti strusciamenti.
«Domani, vedrai!»
A un certo punto, però, quella fantasia s’era macchiata di qualche nuvoletta mentre il Trionfa junior rimasticava tra sé l’inganno della tela di Penelope.
Ed era stato lui a mettere sul tavolo la questione.
«Ma ’sto domani, quand’è che arriva?»
Il giovanotto non aveva voluto essere scortese ma aveva messo nel tono della voce un che di imperativo che aveva fatto riflettere Giovenca. Tutti i torti, effettivamente, il suo bello non li aveva. E poiché anche lei desiderava che quel domani, da sogno che era si facesse realtà, aveva deciso di prendere informazioni.
La Rigorina, che non vedeva da tempo immemore, era l’unica persona cui poteva rivolgersi, e così aveva fatto. Svelta e precisa, la perpetua di don Parigi, e con la collaborazione dello stesso sacerdote, aveva messo assieme un bollettino medico che aveva sprofondato nella tristezza i due amanti: in sostanza e per farla breve, il lodevolissimo Notaro pencolava ancora tra la vita e la morte.
Parole che, paro paro, erano quelle che don Kainafin, cappellano della Bonne santé, aveva scritto a don Parigi rispondendo alla sua richiesta di informazioni.
Palle colossali, ma riferite con tutti i crismi della verità dalla direttrice della clinica.
In realtà il Giovio si stava riprendendo alla grande. Troppe bottiglie di barolo, troppe lepri in salmì lo attendevano ancora prima di rendere l’anima al Creatore. Ma ancora non lo sapeva.
Anzi, pure a lui, pur sentendosi meglio ogni giorno che passava, avevano detto di non essere ancora fuori pericolo. Che altre cure gli necessitavano, altri accertamenti: in pratica ancora parecchi giorni di costosissimo ricovero, a risarcimento di quelli in cui i sanitari avevano davvero dovuto darsi da fare per rimetterlo in sesto.
L’ordine era arrivato direttamente dall’Hagnizia quando i medici l’avevano informata di aver rimesso quasi a nuovo il ricoverato, in modo da permettergli un sereno viaggio di ritorno in patria.
«Altolà!» aveva allora strillato quella.
L’aveva voluto vedere con i suoi occhi. E, trovandolo lucido e collaborante, oltre che sapendolo solvente, aveva diramato un dietro-front: così come stava adesso il Giovio era un bel limone da spremere con giudizio. Così l’aveva intortato ben bene convincendolo a rimanere fino a guarigione che, aveva assicurato, sarebbe stata completa.
Di suo, riferendo, la Rigorina c’aveva messo un tono da sagrestia e un continuo scuotere di testa, cose che avevano avuto il senso di un timbro su una sentenza senza appello.
Una volta messo a parte della novità, il Novenio aveva guardato a lungo la Giovenca.
“Vorrei proprio sapere cos’abbiamo fatto di male per meritare una simile ostilità da parte del destino” s’era poi chiesto sconsolato.