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«Cosa dirà la gente?» chiese il prevosto quando ormai mancavano poche ore all’ultimo giorno dell’anno.

La Zambretti gli rispose dapprima con un’alzata di spalle.

Dopo aver sistemato la Rebecca nel suo letto, averla svestita, asciugata, cambiata e averle fatto sorbire, cucchiaio dopo cucchiaio, la tazza di brodo, l’aveva dolcemente accompagnata verso un terapeutico e rumoroso sonno.

Quindi aveva comunicato al sacerdote che la sua perpetua si trovava né più né meno nelle stesse condizioni di una puerpera, cioè sfiancata, debilitata: ci avrebbe pensato lei a rimetterla in piedi, passando un paio di volte nei giorni a venire per valutare condizioni e necessità della convalescente.

L’obiezione era uscita spontanea dalle labbra del prevosto.

Cosa avrebbe detto la gente al vedere la levatrice andare e venire dalla canonica?

«Dica quello che vuole» commentò la Zambretti dopo l’alzata di spalle.

E se ne andò con l’energico passo svelto delle persone abituate a essere pronte all’azione a qualunque ora del giorno e della notte, mentre il prevosto restò per oltre mezz’ora a passeggiare su e giù per il corridoio, solo con i suoi pensieri.

Uno, sopra gli altri.

Cos’era successo alla Rebecca?

Come mai la sua missione era così miseramente fallita?

Ma era poi fallita davvero?

Oppure la perpetua aveva scoperto una verità così sconvolgente da riportarne ella stessa un trauma?

Solo lei poteva chiarire la situazione.

Per intanto, però, non parlava.

Dormiva. E russava. Il sacerdote la sentiva fino a lì, nel corridoio.

Resisté alla tentazione di entrare nella stanza per interrogarla.

Riposo assoluto, aveva ordinato la Zambretti.

Cosa poteva fare lui, se non obbedire?

E nel contempo augurarsi che le visite della levatrice passassero inosservate?

Ci sarebbe, però, voluto un miracolo che rendesse la Zambretti invisibile. Poiché invece il miracolo non si verificò, il primo giorno del nuovo anno al prevosto toccò aprire la porta della canonica a un ilare dottor Sentimenti.

Ateo dichiarato, scapolo e ventriloquo, il Sentimenti era uomo dalla doppia personalità, severissimo nel ruolo professionale, giocherellone invece quando attaccava al chiodo il camicione bianco. Del ventriloquio faceva gli usi più vari, quale l’accattivarsi le simpatie dei bambini, generalmente terrorizzati, che gli venivano portati in visita, oppure prestandosi a fare da voce d’oltretomba durante le rappresentazioni del Teatro Nero allestite presso L’atelièr Boldoni e gestito dal sedicente conte Resega, un commediante che anni prima era stato abbandonato dalla sua compagnia di giro in quel di Lecco e che aveva trovato di che campare a Bellano: commediole di gusto macabro, vagamente ispirate ai romanzi di Carolina Invernizio e recitate da scheletri che si muovevano dietro un lenzuolo bianco.

Ridanciano fino al momento in cui, sulla soglia della porta di casa, se ne uscì dicendo: «In paese girano voci che la vostra perpetua stia vivendo una seconda giovinezza!», mutò subito sembiante e tono di voce una volta entrato in canonica.

«Scherzi a parte, reverendo, cosa sono queste idiozie che circolano?»

«Idiozie, l’avete detto» rispose.

«E la Zambretti, allora, cosa ci viene a fare qui?» insisté il Sentimenti.

Cercava, con le buone, di vincere il mutismo dietro il quale la Rebecca sembrava essersi trincerata.

«Ma cosa diavolo le è successo?» chiese ancora il dottore.

«Solo lei lo sa.»

«E non parla?»

«Macché!»

«Nemmeno se pizzicata o punta leggermente?»

La Zambretti le aveva tentate tutte, pure il solletico sotto i piedi le aveva fatto.

«Niente da fare» assicurò il sacerdote.

«Permettete che le dia un’occhiata?» buttò lì il Sentimenti.

Poteva rispondere no il signor prevosto?

A malincuore: «Come credete» disse.

E per la mezz’ora durante la quale il Sentimenti restò chiuso nella camera della perpetua temette che l’autorità indiscussa di cui il medico godeva potesse averla convinta a vuotare il sacco.

Il viso sconcertato che il medico gli presentò dopo la visita cancellò ogni dubbio circa gli esiti della stessa.

«Niente, eh?» chiese.

«Mai visto un silenzio più ostinato» rispose il medico.

Che, però, una mezza idea l’aveva avuta. E, per dirla tutta, era stato anche lì per metterla in pratica. Solo il rispetto che aveva per il reverendo e per la sua fede, benché non condivisa, l’aveva trattenuto.

«Ve ne ringrazio» interloquì il signor prevosto, «e vi sarei grato se foste più chiaro.»

«Eccomi» spiegò il Sentimenti.

Il sacerdote sapeva della ventriloquia di cui era dotato. Forse ignorava però che si dilettava anche a imitare le voci altrui: esercizio assolutamente privato che teneva in caldo solo quando era tra le quattro mura domestiche per suo divertimento. Ora, la voce da basso tuba del signor prevosto era tra le più facili da replicare. Così, trovandosi solo soletto al capezzale della Rebecca, vista l’inutilità della sua arte medica per schiodare le labbra della degente, era stato tentato di riprodurne la voce e ordinare alla donna di confessare senza ritegno ciò che la turbava, garantita nel segreto dal sacro vincolo del sacramento.

«Un sacrilegio!» obiettò il prevosto.

«Per questo ho rinunciato» ribatté il Sentimenti, «sapendo che l’avreste preso come tale anche se, a mio giudizio, non ci sarebbe stato niente di male. Tutto è lecito quando si tratta di ridare il benessere a un essere umano. In ogni caso, cedo a voi l’opportunità di verificare se la mia idea sia buona oppure no.»

Il prevosto soppesò l’uscita del medico.

«Dite?» chiese poi.

«Direi» rispose il medico.

L’idea non era male.

Uscito il Sentimenti, il sacerdote la rivoltò come un calzino senza trovarvi tracce di sacrilegio.

Meglio non perdere tempo.

Partì.

Era a metà della scala, quando sentì di nuovo il campanello della porta squillare.

Si fermò, indeciso sul da fare.

Poi: “No” disse tra sé.

Chiunque fosse, per qualunque cosa, adesso no.

Era occupato.

Premiata Ditta Sorelle Ficcadenti
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