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Il tappezziere Pendaglio Carlo, sito in via Catena 34.
Il mobiliere Defendino Bassi, sito in via Croce di Quadra.
L’imprenditore di costruzioni Previsti Giovanmaria, sito in via Tre Re.
Il negoziante di vetrerie, terraglie eccetera Mormino Manuele, sito in via delle Meraviglie.
Il rigattiere Carganella Claudio, senza fissa dimora.
E altri.
A partire dal giorno del suo ritorno a casa e ripresa confidenza con l’ambiente domestico, il Notaro Editto Giovio aveva convocato, uno dopo l’altro, i succitati artigiani affidando a ciascuno il compito di rimettere in sesto la sua abitazione, studio compreso, in modo da renderla idonea a ospitare la sua futura sposa. Aveva ordinato loro di non badare a spese. Il mobiliere Defendino Bassi, che aveva interpretato con molta generosità l’ordine di non lesinare sul denaro, si era permesso di chiedere al Notaro quando si sarebbero celebrate le nozze. Pur non avendone un’idea precisa, il Giovio aveva risposto: «Presto, molto presto» ed era intimamente convinto che sarebbe accaduto proprio così. Cioè che gli sponsali si sarebbero celebrati nel breve giro di un mese o due, poiché, che la Ficcadenti potesse rifiutare una simile offerta era cosa che non aveva nemmeno preso in considerazione.
Nel frattempo, mentre tappezziere e compagnia bella mandavano avanti i lavori a ritmi forzati, il Giovio si era dedicato ad allestire e oliare per bene le pratiche relative all’internamento della Primofiore presso un istituto per deficienti che sorgeva in quel di Brunate, dedicato alla santa patrona delle balie, Guglielmina: impresa tutt’altro che complessa, visto che l’amministratore della casa era un suo corrispondente d’affari, notaro pure lui, con il quale spesso aveva intrecciato traffici.
Infine, quando ormai settembre vedeva la fine, giudicando che tutto fosse pronto all’attacco finale, una sera si era dedicato a compilare un elegante biglietto con il quale convocava la signora Giovenca Ficcadenti presso il suo studio per comunicazioni che la riguardavano personalmente.
L’invito era giunto a villa Coloni di venerdì. Si era inumidito per bene, stante la guazza del mattino, un’umidità che colava dentro la cassetta metallica per la posta, si era accartocciato e chiazzato, tanto che quando Giovenca se l’era trovato tra le dita il giovedì successivo aveva pensato sulle prime allo scherzo di qualche monello dei dintorni che aveva voluto riempire la cassetta con foglie macerate. Era stata un’impressione veloce, niente di più, svanita subito perché l’intestazione “DOTTORE EDITTO GIOVIO – NOTARO IN COMO” le era saltata subito all’occhio, nitida come se non avesse patito né umidità né freddo. Una rapidissima ondata di calore, come se la temperatura si fosse improvvisamente rialzata, aveva colto Giovenca. Aveva benedetto la buona sorte che impediva sia a lei che al Novenio di trovarsi implicati nell’uccisione di una povera donna, sebbene per procura: poiché era convinta che l’invito del lodevolissimo Notaro riguardasse la soluzione del nodo ereditario con relativa sistemazione della povera demente.
Pure il Novenio, che di criminale, nonostante tutti gli sforzi che aveva fatto per aderire agli insegnamenti paterni, aveva ben poco, aveva dimostrato un certo sollievo alla notizia. E durante l’abbraccio che ne era conseguito, stringendosi appassionatamente alla Giovenca, le aveva dimostrato di avere doti superiori alla media: non aspettavano altro che di essere messe alla prova. Giovenca era rossa in viso, un po’ l’emozione un po’ il freddo e un po’, anche, l’abbraccio asfissiante: sentiva dentro di sé una specie di bollore che la stava facendo sudare sotto le ascelle, le mozzava il respiro e altrove inumidiva significativamente. Segni che ben conosceva, quando il suo povero tenentino, prima di dare l’assalto agli ’striaci accampati sull’Isonzo, si era impegnato a conquistare le valli e le colline di cui madre natura l’aveva generosamente fornita. Sarebbe stato facile, considerato l’entusiasmo del momento, cedere alla voluttà. Giovenca invece si era dimostrata più forte dei due desideri messi insieme, il suo e quello del Novenio che nel frattempo si era preso amanuensi libertà.
«Fermati!» aveva detto, con voce d’ordine ma rivestita di miele.
Novenio aveva rallentato le manovre sino a sospenderle. La fatica di rientrare nei ranghi era evidente sul viso del giovanotto. Giovenca, prima di staccarsi del tutto, l’aveva accarezzato.
Non bisognava provocare così la fortuna che li stava favorendo, aveva detto.
Cos’erano un mese, al massimo due, di attesa per poter vivere poi in piena libertà la loro passione?
Il Novenio, a malincuore, aveva suonato la ritirata.
«Quando andrai dal Notaro?» aveva chiesto.
«Giovedì prossimo» aveva risposto Giovenca.
Non si sarebbero visti quindi!
Ma si consolasse, aveva mormorato Giovenca, con il pensiero che di lì a un mese, massimo due…