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Le lacrime del Geremia cominciarono a sgorgare verso le undici di sera della vigilia di Natale, poco dopo aver messo a letto l’atonico genitore e mentre la Stampina, davanti all’unico opaco specchio di casa, maltrattava i suoi capelli cercando di dar loro una ragionevole piega in vista della santa messa. Dallo specchio la donna notò il movimento sussultorio delle spalle del figlio e, lungi dall’immaginare che si trattasse di singhiozzi a fatica repressi, pensò a una tosse di stagione. Una volta arresasi ad alcuni inestricabili nodi che avrebbero fatto invidia a un marinaio, la Stampina piantò lì la spazzola e si rivolse al figlio offrendogli la panacea del singhiozzo: un dito di caffè, estratto di cicoria, senza zucchero e con qualche goccia di limone.
Premura inutile perché, una volta che gli fu di fronte, vide che il Geremia invece stava piangendo.
«Ma cosa c’è?» chiese stupita.
«Niente» rispose il Geremia.
«Piangi» obiettò la madre.
E come un bambino dopo uno spavento, con qualche respiro profondo tra un singulto e l’altro.
«No…»
«Oh, Geremia» invocò la Stampina.
Non poteva negare l’evidenza.
«Dillo alla mamma!»
E così pregandolo gli mise una mano sulla testa, gesto che provocò nel giovanotto una nuova raffica di singhiozzi, passata la quale: «Stavo solo pensando…» balbettò.
«A cosa?»
«Ma niente…» ripeté il Geremia, con l’evidente intenzione però di liberarsi quanto prima di ciò che lo angosciava.
Stava solo pensando infatti che quello era l’ultimo Natale che avrebbero passato insieme e gli era venuta un po’ di malinconia.
Certo, si affrettò a chiarire il Geremia, lui non li avrebbe abbandonati, sarebbe stato sempre a disposizione per ogni necessità ma, insomma, si rendeva conto che, da sposato, niente sarebbe stato più come prima.
Tutto lì.
Alla Stampina venne un momentaneo sturbo: cioè, secondo come lo avrebbe descritto al prevosto la mattina di Natale anche per giustificare la sua assenza alla messa di mezzanotte, le parve che le palpebre si fossero abbassate contro la sua volontà. Vide nero per un tempo difficile da valutare. Quando ritornò a vedere chiaramente le si propose il viso pacioso del figlio nell’espressione del patàti, un viso da luna piena, inespressivo come il tubero, poiché l’aver buttato fuori il tribolo l’aveva rilassato.
Lei invece si sentì risucchiare dalle vene tutta la poesia del Natale.
In una parola, crocifissa.