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Il piano non faceva una piega.
Il Novenio a fare l’aiuto campanaro, la Giovenca l’aiuto merciaia.
All’Esebele era piaciuto.
C’era una sola macchia: quel paese, Bellano.
Il vecchio lo conosceva bene, per sentito dire naturalmente, voci raccolte qua e là.
Comunque, bene.
Paese grosso, importante, popoloso, denso di traffici. Negozi da perderci il conto, osterie pure. Un porto che, gli avevano raccontato, non avrebbe sfigurato sulle rive di qualche mare e che era un andirivieni continuo di comballi che andavano su da Como o di barcarozzi che venivano giù dall’alto lago scaricando merci che poi da lì partivano alla volta delle valli che stavano alle spalle del paese. C’era tutto. Una pretura, dalla quale era meglio stare alla larga, e un ospedale che avrebbe servito la popolazione di mezzo lago e dei paesi di montagna. Alberghi di lusso, in uno dei quali gli avevano raccontato che avesse dormito Garibaldi, e locande per il popolino. E non era mica finita lì, perché oltre a tutto quel movimento, c’era anche un santuario sulla montagna, dedicato alla Madonna che aveva pianto lacrime di sangue ai tempi di carlo codega, che richiamava frotte di pellegrini anche dai Grigioni. Insomma, un posto vivace dove la moneta circolava e la gente però non aveva in testa il solo lavoro.
Forse che non c’erano anche due filodrammatiche?
Un teatro dove passavano le compagnie di giro di mezza Lombardia?
E delle osterie, l’aveva detto che erano ben diciassette, se era chiaro quello che voleva intendere?
Una bocciofila.
Un campo di calcio.
Un circolo vela affiliato a quello di Como.
Vita, insomma.
Si spiegava?, aveva chiesto l’Esebele.
Un po’ sì, aveva risposto il Novenio.
«Allora vuol dire che non hai capito una mazza» aveva ribattuto il genitore.
Perché, con il ritratto che gli aveva fatto di quel paese, voleva fargli intendere che la Giovenca non sarebbe passata inosservata. E, anzi, uscendo da quel buco di culo che era Albate avrebbe capito che il mondo era grande e pieno di opportunità, soprattutto per una come lei.
Allora sì che il Novenio aveva cominciato a capire.
«Volete dire che…»
«Esattamente» aveva confermato l’Esebele.
Se lassù avesse trovato il merlo giusto, avrebbe dovuto dire addio alla villa, addio terreni, addio tutto.
«È chiaro adesso?»
«Ma cosa posso farci?» aveva chiesto il figlio.
«Affari tuoi» aveva ribattuto il genitore.
Tenesse però ben presente che se se la fosse fatta scappare avrebbe dovuto stare alla larga da lui per il resto della vita perché quando gli fosse capitato sotto tiro gli avrebbe aperto con una roncolata la testa per vedere cosa diavolo ci fosse dentro.
La prospettiva di perdere la Giovenca, catturata nel gorgo di tentazioni di quel diabolico paese, aveva sprofondato nella tristezza il giovanotto: non aveva molte armi per tenerla al guinzaglio.
Una sola, a dire il vero: la stessa che aveva usato per agganciarla. E il buon D’Annunzio gli era nuovamente corso in aiuto per dedicarle una poesia che altro non era se non un volgare plagio di alcuni versi de La sera fiesolana.
“Laudata sii, Giovenca,
pei tuoi umidi occhi
ove si specchia il cielo.
Laudata per le tue vesti aulenti
di santità splendenti.
Laudata sii per ogni sera
che passerò in attesa
di riveder nel viso il ciel
dagli occhi belli
che in me fa palpitar
le prime stelle.”
Si sarebbe dimenticata di lui?
Avrebbe incontrato lassù l’uomo in grado di farle dimenticare il loro idillio?
Le parole del Novenio avevano insinuato nella mente della giovane un pensiero che sino ad allora non aveva mai avuto.
Se il suo poeta avesse avuto ragione?
Tuttavia, in obbedienza alla logica della Rigorina secondo la quale era pur sempre meglio un uovo oggi piuttosto che una gallina l’indomani, s’era affrettata a garantire che il suo cuore sarebbe stato per sempre del giovanotto. E, per dare forza e sostanza alle sue parole, aveva detto al Novenio che non sarebbero stati troppo tempo senza vedersi, sebbene furtivamente.
«Darò un giorno di libertà alla settimana alla Forcola» aveva deciso all’istante.
Scuse per prendersi quella licenza ne aveva a bizzeffe: controllare lo stato della sua prossima eredità e dare un’occhiata che alla Primofiore non mancasse niente di quel poco di cui aveva bisogno.
All’uscita il giovanotto si era tranquillizzato.
E poiché quel giormo era giovedì, i due avevano stabilito che i loro incontri clandestini sarebbero avvenuti il giovedì di ogni settimana sino a compimento del piano.