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Il Citrici era uscito da un bel dieci minuti ma del reverendo non s’era vista neanche l’ombra.
«O bestia!» mormorò la Rebecca.
Magari al s’era indormentà!
In d’el stùdi, e al frècc!
«O bestia!» ripeté la perpetua e si alzò tra scricchiolii: la sedia o le sue stesse ossa, non si capiva bene.
«Sciòr prevòst?» chiamò attaccata alla porta dello studio.
Il sacerdote non stava dormendo, tutt’altro.
Stava pensando alle parole del maresciallo, alla persona fidatissima e discreta.
Al sentire la voce di Rebecca si riscosse.
Chi meglio di lei…
«Venite avanti, Rebecca» la invitò.
A chi altri poteva chiedere consiglio, chi meglio della perpetua poteva suggerirgli il soggetto più indicato, preferibilmente maschio, cui affidare un compito tanto spinoso?
Rebecca esitò.
Che il signor prevosto avesse capito che lei aveva ascoltato la prima parte della conversazione con il maresciallo?
«Che avete?» disse il sacerdote. «Venite avanti, devo chiedervi un consiglio.»
La perpetua pensò a un trappolone.
Ma d’altronde, quando il reverendo chiamava mica poteva esimersi.
Si affacciò.
Lo studio, in penombra, con la parete alle spalle del prevosto piena di crocifissi appartenuti ai suoi predecessori, metteva addosso il dies irae. Rebecca rifletté che la cosa migliore da fare fosse battere sul tempo il sacerdote recitando subito il mi pento e mi dolgo, e giurando che era stata la prima e sarebbe stata l’ultima volta.
Ma il reverendo fu più svelto di lei.
«Su, venite e sedetevi» disse.
La perpetua obbedì, ipnotizzata non solo da quelli del prevosto ma anche dalle altre decine di paia d’occhi dei Cristincroce.
«Rebecca» riprese il prevosto.
Il tono era quello da battesimo, caldo e pacato, non faceva presagire rimproveri.
La perpetua osò alzare gli occhi.
«Devo chiedervi un parere» disse infine don Pastore, «e vi prego sin d’ora di non aver fretta nel rispondere. Riflettete, prendetevi tutto il tempo necessario.»
“O bestia!” per la terza volta, ma solo col pensiero.
Tuttavia: «Se diàol!» scappò detto a Rebecca.
Cos’era successo?
«Niente» la rassicurò il prevosto. «La questione è la seguente.»
A suo giudizio, c’era qualcuno tra le persone che frequentavano la chiesa e la parrocchia di cui potesse ciecamente fidarsi?
Qualcuno che, anche se conoscesse i più scandalosi segreti del confessionale, fosse in grado di non farne nemmeno mezza parola?
Qualcuno, insomma, su cui potesse contare come…
«Come se fosse un altro me stesso?» sbottò don Pastore.
Rebecca impallidì, sgranò gli occhi e, Cristincroce o no, si sentì pervadere da un fremito.
L’era in vena de scherzà, il reverendo?
Raddrizzò per bene il capo.
Ma si rendeva conto o no con chi l’era drè a parlà!
Lei chi era!
Non gli aveva forse dimostrato in lunghi anni de servìzi che l’era mèi de na tomba?
«Chi so mì?» chiese.
Due mani buone per far da mangiare, spazzare il pavimento, lucidare tutti i mobili compresi i Cristincroce, rifare i letti, e basta?
Il sacerdote comprese al volo di avere urtato, seppure involontariamente, la sensibilità della sua perpetua.
«Calmatevi, Rebecca, non intendevo offendervi. So bene che di voi posso fidarmi come di me stesso. Il fatto è…»
Come dire, come spiegare che non ce la vedeva proprio una donna a farsi spia?
«Perché?» chiese la perpetua.
Perché, si fosse trattato di… come dire?, agire solo lì, in paese, spiegò il prevosto, poteva, forse, andare bene, invece…
«Invece, qui… insomma, c’è di mezzo un viaggio.»
«Ah!» fece Rebecca. «Che le donne non fossero in grado di viaggiare proprio non lo sapevo!»
«Non dico questo.»
«Ah no?»
«Soltanto dico che ci vuole un minimo di esperienza…»
«Con la lingua in bocca si arriva fino a Roma» sentenziò la perpetua.
«Però…» tentò di obiettare il sacerdote.
«Però» lo interruppe senza riguardi la perpetua, «se non vi fidate, allora è un altro paio di maniche. Ditelo e pace amen!»
Un vicolo senza uscita, ecco dove s’era infilato il prevosto. Una settimana secca di mutismo rigoroso, tanto ci avrebbe guadagnato se non avesse tentato di recuperare il terreno perduto.
«Mettiamo che vi affidi tale compito» chiese, «sapreste eseguirlo?»
«Magari sapendo di cosa si tratta…»
Il prevosto sospirò.
«Quante volte avete viaggiato in treno?»
Toccò a Rebecca sospirare, fingendo di contare.
«Mai» confessò poi.
«Ecco, vedete…»
«Ma a meno che non serva la scienza infusa per farlo, non mi sembra ’sta grande impresa.»
«D’accordo. Ma non si tratterebbe di un viaggio di piacere.»
«L’ho ben capito. E dove dovrei andare?» chiese la perpetua, dando per scontato che la missione fosse ormai sua.
Il prevosto incrociò le braccia sul petto e rifletté, soppesando quello che stava per dire.
Due parole.
«A Monza.»
«Aaah…» fece Rebecca.
Capito tutto!
«Per via del Geremia» sussurrò.
«Shhh!» fece il sacerdote, portandosi un dito alle labbra, come se fosse pericoloso o addirittura peccato evocare nel suo studio la figura del Geremia.