113
Sposarsi!
Un verbo che nella vita del Notaro Editto Giovio si era sempre distinto per l’effimera vita, come se fosse un uccello di passo.
Ma che aveva cominciato ad assumere i caratteri della stanzialità una volta che, passato un primo periodo immerso in una nebbia critica presso La bonne Santé, il cappellano della clinique aveva cominciato a battere su quel tasto. Era sempre quel don Kainafin che aveva corrisposto con don Filo Parigi, e sembrava saltato fuori pari pari da un’eresia luterana. Alla prima uscita in questa direzione, il Giovio aveva tentato la via della spiritosaggine e aveva risposto che consigliava una cosa che lui per primo aveva accuratamente evitato.
Il cappellano l’aveva fulminato, rispondendo di aver già contratto un indissolubile matrimonio. Dopodiché non aveva più perso il treno e, quotidianamente, gli aveva impartito focose lezioni sulla dissolutezza e gelide previsioni sul prezzo che avrebbe pagato prima o poi. Di concerto, i medici sembravano essersi accordati con il religioso e, non appena sistemata la critica situazione dei grassi e degli zuccheri, avevano a loro modo cominciato a predicare circa il fatto che un uomo dopo i quarant’anni, che lui aveva da poco superato, doveva cominciare a riflettere sul proprio stile di vita e correggerlo per tempo laddove fosse ancora improntato alla crapula o a eccessi equipollenti. Infine era stata un’infermierina, pallida e pelosetta come una stella alpina, ad avviare discorsi matrimoniali insinuando nel Notaro il sospetto che l’avesse preso di mira.
Gettato il seme e conscio di averla scampata bella, il Giovio aveva cominciato a pensarci seriamente. Una regola, che gli permettesse di non rinunciare del tutto alla succulenza dei piatti che amava di più, gli ci voleva, se, come gli aveva fatto notare il primario della clinica, non desiderava che nel giro di pochi anni si parlasse di lui all’imperfetto.
Una moglie quindi, d’accordo.
Ma che, in un certo senso, andasse a sostituire gli arrosti, le trippe, le busecche e le cazzuole cui avrebbe rinunciato!
Una moglie bella in carne come un filetto di manzo, saporita come un guanciale, gustosa come un piatto di nervetti con tanta cipolla.
Di tanto in tanto, pensando all’idea che s’era fatto della donna da sposare, individuandola sempre di più in quella Giovenca Ficcadenti con la quale aveva ancora una promessa in sospeso, guardava l’infermierina, quella che assomigliava a una stella alpina, e non poteva fare a meno di paragonarla a ciò che rimaneva nel piatto dopo aver spolpato per bene una gallina a lesso.