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Marchiazzi Aloisio, parrucchiere con grande assortimento di profumerie di fabbricazione nazionale ed estera, laboratorio in capelli e trecce, salon in piazza San Giacomo a Como, lavorava su prenotazione.

Ma il Notaro Editto Giovio mica poteva saperlo, visto che a scadenze molto irregolari si faceva tosare a domicilio da un barbiere errante che perlopiù operava nelle campagne circostanti la città e compariva nel suo studio quando qualche debitore gli inviava per suo tramite omaggi mangerecci. Al vederlo entrare il Marchiazzi aveva subito pensato che quell’energumeno mal combinato fosse un ospite del cittadino manicomio sfuggito al controllo o, al più, un montanaro sceso in Como dopo essersi travestito da residente. Aveva quindi aperto la bocca per cacciarlo con la minaccia di chiamare la forza pubblica ma il Notaro gliel’aveva immediatamente chiusa.

«Non esiste legge alcuna che proibisca a chiunque di essere servito anche se privo di prenotazione.»

Il Marchiazzi l’aveva squadrato cercando invano una risposta.

«Se non ne siete convinto posso far accorrere un amico dell’ufficio ispezione delle società commerciali. Abilissimo a pettinare a modo suo anche i barbieri!»

Il Marchiazzi aveva colto l’allusione: conosceva alla perfezione l’abilità di quell’ufficio nel trovare violazioni alle leggi preposte anche là dove non c’erano.

«Accomodatevi» aveva risposto, guardando in tralice i prenotati che per parte loro avevano compreso quanto fosse necessario tacere.

Quella stessa mattina il Notaro Editto Giovio, smaltite le rane e l’erba liva, si era sottoposto a una severa revisione davanti allo specchio di casa nella cui cornice aveva infilato la foto di Giovenca. Se più di una volta in vita aveva benedetto la sua complessione al limite del mostruoso, cosa che gli aveva permesso di evitare troppe parole per piegare alla sua volontà gli animi semplici di montanari, contadini e figlie o mogli degli uni e degli altri, in quel frangente aveva compreso che ogni medaglia aveva il suo rovescio. Il rovescio, in quel caso, avrebbe potuto essere quello di stomaco che a una bellezza pari a colei che, sognante e ridente, lo guardava dal bordo dello specchio, avrebbe provocato la proposta delle sue avances.

Per la prima volta il Notaro si era trovato di fronte a un problema. Sino ad allora si era accontentato di sfoghi circoscritti, una botta e via insomma. Poco gli era importato di avere, sotto o davanti a sé, un essere che consentiva solo a forza di minacce o allusioni.

Ma quella Giovenca…

Il maggiore Coloni, quando era stato nel suo studio poco prima che il figlio si sposasse, gliel’aveva descritta come una popolana e a quelle parole la sua fantasia si era conformata.

Ma, perdio!, solo un’ottusa testa di militare non era riuscita a concepire come anche nel più arido deserto potesse nascere un fiore, e che quella ragazza fosse il prodotto di un intreccio miracoloso di sangue di tutte le razze che avevano percorso la Lombardia estraendo da esse il meglio del meglio.

In sintesi, benché non lo fosse, la Giovenca andava trattata come una principessa e come tale circuita.

Barba e capelli innanzitutto, aveva quindi deciso il Notaro. Poi guardandosi meglio aveva optato per una semplice regolata alla barba al fine di mantenere al coperto certe macchie vinose che gli tempestavano le guance, frutto degli eccessi alimentari.

Il Marchiazzi aveva eseguito alla lettera le sue istruzioni, cedendo anche alla riga in mezzo, voluta dal Giovio pur se da lui timidamente sconsigliata. L’aveva infine omaggiato di una rasatura dei peli che uscivano dalle narici e dalle orecchie e infine salutato invitandolo a tornare da lui senza preoccuparsi della prenotazione.

Una volta liberatosi dall’eccedente peluria, il Notaro era partito alla volta del secondo appuntamento della giornata, la bottega dei fratelli Frittola, sarti, con deposito ben assortito di stoffe d’ogni qualità e abiti fatti, sita in corso Vittorio Emanuele.

Un vestito nuovo, di sobria eleganza, gli ci voleva.

Purtroppo le misure di cui madre natura l’aveva dotato non gli avevano consentito di entrare in alcuno dei vestiti già pronti che i Frittola gli avevano proposto. Nonostante gli sforzi che i due, Perlino e Carolo, avevano fatto per accontentare il cliente, l’unico risultato era stato quello di tranciare di netto in due una giacca quando il Giovio aveva tentato di allacciarla. L’unica soluzione era stata quella di passare a un abito fatto su misura.

«Un bel completo in lino, fresco e leggero» aveva cinguettato Carolo.

«L’ideale per la stagione in corso» aveva commentato Perlino, sfarfallandogli intorno.

Tempo di realizzazione, due settimane, considerando la necessità di fare più di una prova.

Editto Giovio aveva considerato la necessità di rivedere i suoi programmi e di rinviare l’assalto alla Giovenca. Non tutto il male veniva per nuocere, però. Aveva considerato che in quelle due settimane, alimentandosi come un normale cristiano e bevendo solo acqua, sarebbe riuscito a buttar giù qualche chilo, sfilandosi un po’ e guadagnando in presenza.

Non solo.

Lo stesso pomeriggio, dopo aver avviato la dieta che si era imposto, aveva criticamente osservato l’ambiente in cui da anni viveva, percependone in pieno lo squallido disordine e l’impersonale arredamento. Era allora partito in tromba per una nuova missione, traguardo il tappezziere Sfezzume che svolgeva anche attività di vendita e noleggio di mobili per decorazione di ville sul lago, con sede in piazza del Duomo. In origine rigattiere, lo Sfezzume svuotava ancora solai e cantine, e il Giovio gli aveva quindi chiesto di dare una parvenza di nobiltà al suo studio, promettendogli che se un certo affare fosse andato in porto gli avrebbe affidato anche il resto dell’appartamento. Approfittando del momento che aveva intuito propizio, lo Sfezzume gli aveva piazzato, oltre a una nuova tappezzeria, due vedute di Corenno Plinio e un ritratto, spacciandolo per quello di Benedetto Giovio.

Una volta sistemate le questioni estetiche, nelle due settimane che erano seguite il Notaro, tra una prova e l’altra del vestito e una pesata e l’altra presso la farmacia Sbertazzoni in piazza Mercato Stoppa, aveva badato a raffinare il piano di conquista.

Per prima cosa aveva cercato di dare ai suoi gesti una nobiltà che non avevano mai avuto. Abituato a trattare con mezzadri, boscaioli e allevatori, ne aveva acquisito i gesti spicci, poco formali, giungendo anche all’abominio di sputarsi sulle mani prima di stringerle per siglare un accordo. Salotti non ne aveva mai frequentati ma non gli mancavano certo gli strumenti per istruirsi nelle buone maniere: chiedendo l’assoluto segreto e la consegna a domicilio, aveva ordinato al libraio Alfonso Mamete di via Croce di Quadra il Codice delle persone oneste e civili: ossia galateo morale per ogni classe di cittadini composto da Giacinto Gallenga e aveva cominciato a compitarlo diuturnamente, ripetendo più volte le mosse descritte e consigliate e raggiungendo piano piano un certo grado di spontaneità.

Oltre a tutto ciò, un altro pensiero incombeva nella zucca del notaio, una convinzione derivata dalla sua lunga esperienza, dalla vita condotta sino a quel momento e dominata dal do ut des. Non esisteva persona al mondo, o se esisteva non l’aveva ancora incontrata, che non fosse disposta a scendere a compromessi pur di riempirsi le tasche. Il potere, la ricchezza, il possesso, la libertà, in fondo, di non dovere obbedire ad alcuno, vivere la propria vita senza obblighi, goderla soprattutto negli anni migliori della gioventù, erano medicine o, meglio, droghe, che rendevano meno pesante qualunque prezzo da pagare.

Così come si trovava adesso, alla Giovenca mancava davvero poco per raggiungere l’obiettivo della totale libertà. Per diventare padrona assoluta del ben di Dio che era l’eredità Coloni non doveva fare altro che accettare i suoi patti.

Forse, quando le avesse sottoposto la questione, la giovane avrebbe pensato alla pazza di casa, alla Primofiore.

Logico.

Ma non era così.

La Primofiore dava fastidio persino a lui. Meglio che la Giovenca non lo sapesse anche se di fatto era così. Non per niente aveva già avviato il necessario percorso che gli avrebbe consentito di infilarla in qualche istituto per deficienti.

Gliel’avrebbe offerta su un piatto d’argento.

Sarebbe stato, le avrebbe detto, solo il primo dei suoi regali.

Premiata Ditta Sorelle Ficcadenti
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