21
Il maresciallo Aristemo Citrici non temeva né il freddo né il caldo, quindi aveva raggiunto il luogo del delitto, piantato sul lato destro del giardino della canonica, quasi a far da guardia al miserevole calicantus e gettando di tanto in tanto un occhio alla volta della contrada da cui sarebbe dovuto spuntare il signor prevosto che, secondo le informazioni della perpetua, sarebbe dovuto essere in casa e invece, secondo le donne che dopo la messa s’erano fermate a recitare il de profundis per l’albero, era uscito una mezz’ora prima, destinazione sconosciuta.
Non era ancora metà mattina e aveva già un bel nervoso. Colpa del suo carattere da cinghiale. Amava la solitudine e il silenzio.
Invece.
Dapprima aveva dovuto resistere eroicamente e respingere le insistenze della stessa perpetua che avrebbe voluto accompagnarlo sul luogo del delitto. A giudizio del Citrici nelle cose di uomini le donne non ci dovevano entrare.
«Voi andate per le vostre spese e lasciate a me il resto.»
Ma se aveva fatto conto di aver così riconquistato l’amata solitudine s’era dovuto ricredere una volta giunto in piazza della chiesa, trovandosi in mezzo alle fedelissime della messa prima. Le quali, ordinatamente, una alla volta, l’avevano tempestato di domande volte a capire cosa avesse intenzione di fare per individuare l’assassino del calicantus. Con pochi grugniti aveva fatto intendere alle pie donne che non avrebbe dato corso ad alcuna indagine fino a che, solo, non avesse potuto ispezionare il luogo del misfatto. Ottenuta soddisfazione, il Citrici non aveva fatto altro che rimettersi in posizione d’attesa, maturando la convinzione che quel giorno era diverso da tutti gli altri trascorsi da che aveva preso il comando della stazione bellanese.
Giorno foriero di guai, troppe donne in ballo.
“Chi dice donna dice danno.”
E non alteravano la media quelle due donnicciole dei merciai, il Tocchetti e il Galli, imbecilli che avevano cercato di giocare con lui la carta dei furbi, ponendogli domande trabocchetto o addirittura, non riuscendo a scardinare il suo ermetismo, di spaventarlo domandando se per caso qualcuno superiore in grado a lui avrebbe potuto saperne di più.
Quando li aveva finalmente liquidati, dicendo loro che magari potevano chiedere aiuto alla Farfalà, che leggeva le carte e i fondi di caffè, s’era avviato alla volta della canonica. Era soddisfatto di sé per come aveva trattato i due miagolanti merciai ai quali, nemmeno sotto tortura, avrebbe rivelato che la Ditta Ficcadenti aveva ben meritato di essere premiata, anzi, premiatissima alla grande esposizione di Milano tenutasi nel 1881, della quale lui stesso aveva vaghissima memoria avendola visitata da bambino in compagnia di mamma e papà.