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I Coloni avevano una cappella di famiglia in quel di Como, al monumentale. Dodici posti, di cui quattro già occupati.
Contro ogni parere, nonostante non mangiasse e non dormisse da almeno due giorni, affidata alle cure di Rigorina l’evanescente moglie, Eracle Coloni non solo aveva voluto prendere parte alle esequie del figlio, ma addirittura seguire a piedi, anziché comodamente seduto, il carro funebre sino ad Albate, presenziare alla messa funebre, celebrata da un tremolante don Parigi, e sempre in piedi, da vecchio soldato. Da Albate a Como aveva viaggiato in carrozza ma, dopo aver assistito all’inumazione e fatto ritorno ad Albate, aveva rifiutato il passaggio su un carro rurale onde evitare la fatica del tragitto di ritorno alla villa e s’era avviato a piedi.
«Un combattente non si ferma mai» era stata la sua risposta.
Vallo a dire alle sue coronarie!
Quando il cancellone era ormai in vista, Giovenca si era accorta che qualcosa non andava per il verso giusto: il suocero, che camminava davanti a lei, il capo chino, le mani allacciate dietro la schiena, aveva dapprima sensibilmente ridotto il passo, ingobbendosi via via sino a quando, a pochi metri dall’ingresso, era caduto sulle ginocchia rannicchiandosi. Sembrava un penitente in preghiera ma Giovenca aveva compreso che il maggiore stava tentando di ricacciare il dolore che più volte nei giorni appena trascorsi gli aveva azzannato il petto. Il pallore, il sudore, il silenzio, l’avevano fatta certa che la cosa fosse al di fuori della portata dell’Eracle. A gran voce aveva chiamato Rigorina e in due avevano portato l’uomo all’interno della villa deponendolo, per il momento, sopra il catafalco sul quale sino a poche ore prima era stato il feretro del figlio. La stessa Rigorina poi era volata ad Albate alla ricerca del dottore che era giunto a cavallo un paio d’ore più tardi, quando l’acme del dolore aveva lasciato il posto a uno sfumato senso di peso sul petto.
Eracle, spossato, aveva risposto alle domande del medico sussurrando e tenendo gli occhi chiusi: non aveva memoria di quello che era successo nelle ultime ore e aveva chiesto di essere messo al corrente. Il medico l’aveva rassicurato.
«Niente di che!»
La fatica, l’angina, l’assenza di riposo e di un’alimentazione adeguata: tutti questi fattori avevano contribuito al determinarsi di un colpo sincopale cui la forte fibra del maggiore stava già reagendo.
«Il tempo è medico e medicina nello stesso istante.»
Una restitutio ad integrum immediata non era pensabile: ma, seguendo i suoi consigli, con l’aiuto del cielo e l’assistenza filiale della sua giovane, e bella, nuora, non dubitava il dottore che il Coloni sarebbe riuscito a rimettersi in sesto.
«Riposo innanzitutto, e via da qui!»
Da quella stanza ancora cupa che i dipendenti della “Panta rei” avevano assicurato di smontare nel giro di un paio di giorni.
«Un’alimentazione consona al bisogno!»
Poco di tutto e spesso, come ai bambini.
Infine, qualche medicina.
Un po’ di laudano, un po’ di digitale.
Tre giorni dopo l’Eracle era bello e morto.