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Fu il maresciallo Aristemo Citrici in persona ad aprire il portone della caserma alla donna.
Era in pigiama, spettinato, s’era buttato sulle spalle il cappotto d’ordinanza.
Prima di darle udienza volle indossare la divisa.
E dopo averla ascoltata, le impose di starsene in caserma ad attendere, poiché quella era faccenda da uomini.
Erano le tre del mattino quando riuscì a rintracciare il disperso.
Il maresciallo l’aveva cercato a naso, come un cane da caccia, senza fare richiami per non svegliare la gente e inopportune curiosità. Se lo trovò quasi faccia a faccia sbucando da via Porta.
Il giovanotto era seduto su una panchina di piazza Boldoni. Aveva lo sguardo fisso, i pugni chiusi, i capelli scarmigliati: il manifesto di un alienato.
“Al manicomio!” sbottò tra sé il Citrici.
Poi cercò di attirare la sua attenzione. Visto che quello non dava segno di aver inteso, lo afferrò per una spalla del cappotto, rimettendolo in piedi.
«Va’, va’» ordinò poi, «camminami avanti!»
Il Geremia, sempre senza far parola, obbedì. Giunto all’altezza di via Balbiani, dove stava di casa, fece per deviare.
«Uè!» lo richiamò il Citrici. «Dove crediamo di andare?»
«A casa» rispose senza voltarsi Geremia.
«Ma che casa e casa! Adesso te ne vieni con me in caserma e ci facciamo quattro chiacchiere al caldo.»
Al vedere entrare il figlio, la Stampina gli volò addosso per abbracciarlo, ritraendosi quasi subito per quanto era gelato.
«Ma dove sei stato?» gli chiese con voce tremolante.
«In giro» rispose il Geremia come se fosse la cosa più logica dell’universo.
Furono, quelle, le uniche parole che anche il Citrici riuscì a estorcergli nonostante per una bella mezz’ora l’avesse bombardato delle domande più varie.
Quando, dopo avergli chiesto quanti anni avesse, il Geremia gli rispose per l’ennesima volta: «In giro», il maresciallo abbandonò la partita, convinto che il freddo avesse ghiacciato qualcosa nel cervello del giovanotto. Quindi lo accompagnò nella stanza dove la Stampina aspettava attaccata alla stufa e le chiese di seguirlo nel suo ufficio.
«Sentitemi, brava donna» attaccò.
Aveva un bel discorso da farle. C’erano regole da rispettare di fronte alle quali non poteva fingere di niente, aveva doveri nei confronti della comunità del cui ordine era responsabile.
Se il giovanotto, come da lei stessa dichiarato poc’anzi, aveva manifestato intenzioni suicide, lui, in qualità di maresciallo, non poteva non tenerne conto. Anche perché c’era quell’altra notizia, eh!, quell’instabilità mentale che gli era valsa l’esenzione dal servizio militare che non si poteva fingere di non sapere. In secondo luogo, il vagabondare come aveva fatto quella notte, al freddo e al gelo, senza meta, quel rispondere ossessivamente sempre la stessa cosa…
«In giro!» osservò il Citrici. «E che significa? Cosa vuole dire?»
Una cosa sola voleva dire!, concluse, impedendo alla Stampina una qualunque replica.
«Che il giovane forse ha bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui» aggiunse, a bassa voce, come a stemperare la gravità dell’affermazione e fermando in tempo il dito indice che stava salendo per conto suo a toccarsi la tempia.
«Vorreste dire?» riuscì a chiedere la Stampina.
«Di mio» rispose il maresciallo, «ho il regolamentare dovere di avvisare l’ufficio provinciale d’igiene, a tutela della salute del soggetto stesso.»
Ma la Stampina non era mica nata ieri.
«Volete mandarlo in manicomio?» sbottò.
«Chi ha parlato di manicomio?» si difese il Citrici.
Ad altri spettava simile valutazione. E pure lei, benché madre, doveva concordare che prevenire altri gesti inconsulti era necessario.
«Onde evitare il peggio» drammatizzò il carabiniere.
La Stampina aveva il viso chiazzato, un po’ il caldo dell’ufficio un po’ l’emozione per le parole del maresciallo, sembrava una carta geografica.
Quando aprì la bocca, incespicò dapprima sulle parole.
«Io lo so» riuscì infine a dire.
«Cosa sapete?» chiese il Citrici.
«Io lo so» ripeté la Stampina.
Il Citrici s’irretì, temendo che la donna avesse avviato la stessa manfrina del figlio.
«Cosa sapete?» tornò a domandare. «Qualunque cosa sia, siete tenuta a dirmela!»
In fin dei conti aveva rischiato la polmonite per riportarle a casa il figlio. Quindi, o si spiegava chiaramente o l’avviso per l’ufficio d’igiene provinciale era già bell’e firmato.
Era pronto a tutto.
A sentirsi dire che il padre fosse sifilitico oppure che il Geremia avesse avuto un parto difficile con schiacciamento del cranio da cui un certo grado di deficienza, o anche che il giovanotto non fosse figlio naturale del marmorizzato genitore ma che la Stampina l’avesse avuto da un lanzichenecco, così come il Citrici chiamava tutti gli estranei al paese e quelli di passaggio.
Qualunque cosa fosse doveva dirla. Ma hic et nunc!
«Io lo so» ripeté per la terza volta la Stampina, «perché mio figlio si comporta così.»
«Gradirei saperlo anch’io!» secco secco il maresciallo.
«È per amore!»
Il Citrici ebbe un momento di incredulità.
«Ma che» disse poi, «siamo alla filodrammatica?»
Fu una battuta che provocò nella Stampina un’emozione intensa. Talmente intensa che la donna non riuscì a resistere alle lacrime. Un pianto a dirotto, cadenzato da singhiozzi e violenti scossoni delle spalle in conseguenza del quale il Citrici si sentì in grave difficoltà.
In fin dei conti cosa aveva detto?
«Suvvia» disse, «calmatevi e spiegatevi meglio.»
Ma la Stampina era arrivata alla fine delle energie, fisiche e morali. Si stava accasciando sulla sedia. I confini della carta geografica che sino a poco prima aveva in viso andavano svanendo, conquistati da un pallore che la dicevano vicina allo svenimento.
Per confortarla, il Citrici andò a frugare in un armadio e ricomparve con una mezza bottiglia di cordiale, offrendone poi un’abbondante dose alla donna.
«Fatevi un bel sonno» disse. «Riparleremo di tutto domani.»
La Stampina fece no con la testa.
Con una voce che sembrava provenire dal fondo di un pozzo: «Parlatene con il signor prevosto» disse, «lui sa tutto, vi dirà quello che volete sapere».
Poi ingollò d’un fiato il cordiale e solo quando il colore le ritornò in viso, il Citrici la fece accompagnare a casa a braccetto con il figlio.