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Non riuscì a chiudere occhio quella notte il Geremia.
Un po’ il vento che aveva ripreso forza, i suoi fischi, qualche persiana chissà dove che sbatteva.
Soprattutto, però, il discorso della Giovenca.
Discorso piano, liscio.
Non ci aveva trovato niente da ridire.
Stava lì il punto.
Non ci aveva trovato niente da ridire ma aveva sentito che qualcosa c’era. Ed era stato sveglio tutta la notte per cercare quel qualcosa. Senza riuscire a trovare l’anello debole in tutta quella serie di parole alla quale non aveva fatto altro che rispondere quasi sempre sì.
Per questa ragione l’aveva ripassato a occhi aperti nel buio, sin dall’inizio. Sino dal momento in cui aveva tirato in ballo la Zemia, definendola la sua novella sposa.
Così aveva detto la Giovenca.
Senza tener conto di una sua timida protesta.
«Però…»
«Lo so» l’aveva immediatamente interrotto lei.
Sapeva bene, aveva sottolineato, che era così per dire, un modo di intendersi tra loro.
«Tra noi» aveva ribadito.
Ma gli altri?, aveva chiesto Giovenca.
Gli altri chi?
Il mondo fuori!
Quelli che bene o male sapevano dell’avvenuto matrimonio.
E quelli che ne sarebbero venuti a conoscenza!
Lui e sua sorella, marito e moglie.
«Ma ti immagini se qualcuno scoprisse che…» aveva detto Giovenca.
Lasciando in sospeso il resto della frase.
Non voleva neanche immaginare le chiacchiere, lo scandalo che ne sarebbe seguito…
Vite rovinate!
«Non dobbiamo neanche pensarci.»
Perciò era necessario fare le cose per bene come sino ad allora era accaduto. Essere cauti, strateghi.
Dare tempo al tempo.
«Cioè?» aveva chiesto lui.
Il tempo volava, passava in fretta.
Come quel vento che soffiava con le foglie, il tempo si portava via ricordi, memorie. Puliva il cielo dalle nuvole, e quando smetteva, di quelle nuvole non c’era più traccia.
Bisognava fare così.
Attendere con pazienza che la notizia di quel matrimonio, come tante altre, si sgonfiasse, perdesse la vernice della novità, cadesse insomma nel dimenticatoio o, se lui preferiva, nell’anonimato delle cose ormai prive di interesse.
Tutti loro, loro tre intendeva, dovevano collaborare per raggiungere quello scopo.
E lei per prima!
«Come?» aveva buttato lì Giovenca, la risposta già pronta.
Allontanandosi per un po’.
Lei lontana, chiacchiere, maldicenze, sospetti, non avrebbero avuto ragione d’essere.
Un po’, va bene, aveva obiettato lui.
Ma un po’ quanto?
«Secondo» aveva risposto Giovenca.
Mica era un calcolo matematico.
Due settimane, tre.
«Un mese, due.»
Difficile dirlo.
Un tempo comunque sufficiente affinché nessuno più si interessasse ai fatti loro.
Un tempo necessario perché chiunque considerasse lui il legittimo marito di sua sorella.
Dopodiché sarebbe entrata in gioco lei.
«E io intanto?» aveva pigolato lui.
Giovenca l’aveva fissato per un po’.
«Comportati da marito» aveva poi sussurrato.
Lui s’era sentito sudare.
«Con tua sorella?»
«Non credi che anche per me sarà un sacrificio?» aveva rimandato Giovenca.
Non pensava, aveva insistito, al premio che lo aspettava poi?
Sì, ci pensava.
E al solo pensiero si confondeva sempre di più.
Non aveva mai preso in considerazione il sacrificio della lontananza e il resto.
«Bando alle esitazioni» l’aveva esortato Giovenca.
Ogni perplessità non faceva che aumentare il tempo dell’attesa.
Più che perplesso, il Geremia si era sentito in piena confusione, e anche un poco spaventato.
Quando, infine, Giovenca gli aveva chiesto se fosse d’accordo con lei, aveva risposto sì. Ma già con l’idea di ripassare per bene tutto quel discorso, e in piena tranquillità, per trovare il punto debole da portare a galla per inficiarlo.
Giovenca invece aveva preso il suo sì come un’incondizionata adesione al piano.
E poiché, come aveva detto, la vita passava veloce e non bisognava dar tempo al tempo, aveva detto che, una volta preparate le sue cose, giovedì mattina, con la sua partenza, avrebbe dato il via al loro piano.