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Don Pastore rimase di stucco.
Aveva appena terminato di celebrare la messa, ricordando come suo solito la figura del santo del giorno, l’ateniese Igino, papa dal 136 al 140 dopo Cristo, cui si attribuiva l’istituzione del padrino e della madrina per il battesimo.
Benché la chiesa fosse ancora immersa nel buio, aveva notato che una delle fedelissime non si era schiodata dal banco per partire insieme con le altre all’assalto delle botteghe.
Era la Stampina.
Non aveva potuto giurarlo, stante la scarsità di luce, ma ci avrebbe scommesso, benché sia giurare sia scommettere fossero cose contrarie alla sua etica.
Ma era lei. E se era lì, aveva i suoi buoni motivi.
Uno solo poteva averne, anzi.
Era entrato in sagrestia pensieroso, dando meccanicamente il solito ordine allo scaccino.
«Dài!»
Quello dapprima aveva svuotato l’ampollina col vin santo, s’era sciacquato la bocca, poi l’aveva aiutato a svestirsi.
«Vai pure» l’aveva quindi liquidato.
Una volta solo aveva di nuovo spiato tra i banchi. La Stampina era ancora lì, il viso nascosto tra le mani, in un inequivocabile atteggiamento di profonda immersione nella preghiera che al prevosto aveva fatto tirare un bel sospiro di sollievo, appena venato di dispiacere: era evidente infatti che, stante il fallimento della sua missione, la Stampina si stava rivolgendo all’Unico, chiedendogli di riuscire là dove lui aveva fallito.
La Stampina stava effettivamente pregando.
Aveva voluto rimanere sola per concentrarsi a fondo e innanzitutto ringraziare davvero l’alto dei cieli senza il cui intervento nessuna azione umana giungeva a buon fine. Dopodiché avrebbe ringraziato anche il signor prevosto, braccio benedetto e terreno di quella volontà superiore. Lo conosceva quale uomo schivo che, potendo, si sarebbe negato a qualunque manifestazione di riconoscenza. Così, mentre pregava, tra le dita con le quali si copriva il viso ne aveva spiato i movimenti e aveva atteso il momento in cui, per la seconda volta, la porta della sagrestia aveva scricchiolato sui cardini, segno che dopo il sacrista anche il prevosto stava uscendo. Quindi, alla svelta, uscì anche lei dal portone principale, intercettando il sacerdote mentre si avviava alla volta della canonica.
Don Pastore aveva appena avuto il tempo di mettere in discussione le convinzioni che si era formato poco prima e pensare a come giustificare il fallimento.
La Stampina non gli lasciò il tempo di aprire la bocca.
«Consideratemi vostra debitrice in seculaseculorum» disse, «anche se per il momento posso soltanto dirvi una parola: grazie.»
E dal profondo del cuore, aggiunse, quasi scappando poi, perché si era sentita sull’orlo delle lacrime per la commozione.
«O Signore!» mormorò il sacerdote di lì a pochi secondi.
Possibile che la Stampina non avesse capito com’erano andate le cose?
Quando entrò in canonica, aveva la stessa faccia della sera prima.
Alla Rebecca non sfuggì.
“Per mì al gà i vermen ch’el òm lì” pensò.
Aglio ci voleva.
Per scascigà i vermen e anca i diàoi!