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Il prevosto aveva il viso stanco. D’altronde il giro delle frazioni non era mica uno scherzo per uno della sua età. In più aveva nell’animo la tristezza per il dolore che aveva tentato di consolare. Al vederlo così, silenzioso e pure un poco ansante, la perpetua temette che non s’accorgesse nemmeno del presepe.
«Datevi una rinfrescata» intervenne, manco fuori ci fosse un caldo agostano, «e poi venite a cena: avete bisogno di ben altro che di patate e un ovetto sodo!»
In effetti il sacerdote aveva fame. Obbedì, mentre Rebecca si infilava in cucina, la testa china sulla stufa, dove ormai un bollito misto dal profumo avvolgente non aspettava che di essere mangiato, e le orecchie tese fino al momento in cui si riempirono del tanto desiderato rimprovero.
«Ma, Rebecca!» tuonò il prevosto.
Alla perpetua scappò un sorriso che svanì subito nei fumi del bollito. Poi si impose la maschera dell’ingenua e corse in corridoio.
Sul viso del sacerdote la stanchezza era sparita. Piuttosto lo illuminava un sorriso infantile.
«Rebecca…» sospirò il sacerdote in tono gentile. «Quante volte ve l’ho detto…»
Quante volte le aveva detto che la Madonna andava alla destra della culla che avrebbe ospitato il nascituro, e non a sinistra, e che accanto a lei ci doveva stare il bue per il semplice motivo che, essendo un animale dallo spirito tranquillo, non avrebbe creato pericoli alla Santa Madre? San Giuseppe invece andava a sinistra e l’asino con lui: si sapeva che l’asino era invece animale imprevedibile e bizzoso e solo una sicura mano maschile avrebbe potuto sedarne eventuali esuberanze.
Rebecca era convinta che quelle regole non fossero scritte da nessuna parte e che, anzi, se le era inventate il prevosto di sana pianta. Tuttavia non aveva mai osato contraddirle, le aveva sempre rispettate rigorosamente, tranne quella volta, e per un motivo ben preciso.
«E i Re Magi!» continuò il sacerdote.
La perpetua fece la faccia scura perché la cosa si faceva grave.
Era impensabile che i Tre Re fossero sistemati di già nel presepe, sebbene in posizione defilata, visto che all’Epifania mancava un mese. Erano ancora ben lontani da Betlemme, stavano seguendo la stella cometa e, come da tradizione della canonica, dovevano essere lasciati su un tavolino a tre gambe, in cucina, di lato alla dispensa, sul quale andava stesa una manciata di sabbia a significare che erano ancora nel deserto.
«Rebecca, Rebecca!» la rimproverò il prevosto come se fosse una bambina. Nel frattempo riposizionò Madonna e san Giuseppe con annessa compagnia animale e rilevò i Re Magi.
Entrato in cucina, dapprima annusò il dolciastro profumo del lesso che gli provocò un immediato borborigmo. Al punto che, senza dirlo, rifletté che i Re Magi potevano aspettare il tempo della cena, dopodiché li avrebbe sistemati come meritavano.
Fu in quel momento che vide il pacchetto, l’amo che la perpetua aveva posto al centro del tavolino destinato ai Tre Re.
«Questo cos’è?» chiese.
La perpetua, occupata nel travaso del bollito, finse di non capire.
«Cosa?»
Il prevosto intanto aveva scrutato il contenuto: un nastrino.
«Avete riparazioni in vista?» chiese, fingendo di non capire.
Rebecca fece un atto di umiltà.
«Volevate che entrassi in quella merceria senza acquistare niente?» chiese.
«Ah, già, la merceria!» continuò a fingere il prevosto, dedicandosi a scegliere, dal piatto del bollito, le parti più grasse: un pezzo di guanciale, un pezzo di lingua e quattro zampe di gallina.
Soddisfatto della scelta, si rivolse finalmente alla perpetua che s’era servita del solo collo del pennuto.
«E com’è andata?» chiese.
Rebecca decise di andare subito al sodo.
«Niente da dire sul negozio, sulla qualità della merce e sui prezzi» comunicò, glissando sui prezzi che non aveva avuto modo di considerare.
Ma…
«Ma?» chiese il prevosto che aveva già la bazza unta.
Ma c’erano due cose due che non l’avevano convinta.
Com’era possibile che la prima delle due Ficcadenti, che l’aveva quasi travolta, dovesse già andare a Monza per fare ordini, quando la merceria non era aperta che da un giorno?
E com’era possibile che quella andasse a Monza a fare ordini quando l’altra, la sorella, un vero e proprio sacchetto di ossa vestita che sembrava già pronta per la bara, le avesse testualmente dichiarato che si servivano dal miglior grossista della provincia, tal Formaini Giuseppe di Como sotto i Portici Nuovi?
Il prevosto stava spolpando un’ala di gallina.
Si fermò.
Un sospetto si insinuò nei suoi pensieri ma lo tenne per sé.
«Mettiamo a posto i Re Magi» disse.
Ma la perpetua era certa che gli avesse dato di che pensare e che, Re Magi a parte, la Ficcadenti avesse pudicamente preso posto nella sua testa.