136
Era di quelli che duravano sette giorni, quel vento.
Vento del diavolo in tutti i sensi, perché era proprio dalla bocca del diàol che usciva.
Parlava una lingua di bestia sempre in caccia di qualcosa, versi come se stessero spellando un maiale vivo. Le anime dannate non avrebbero avuto scampo, quel vento le avrebbe schiacciate e annegate nel buco più fondo del lago.
Nella penombra della cucina, domenica sera, la Rebecca stava ripassando un discreto campionario di immagini infernali.
Gh’era pòc de fà!
Gli altri due seduti insieme con lei nella cucina erano altrettanto silenziosi.
Spetavano chissà che cosa!
Oramai…
El sciòr prevòst era seduto su una seggiola, con in grembo sempre quella copia del “Corriere dei Piccoli” che faceva finta di leggere nonostante il buio, manco avesse due lampadine al posto degli occhi.
E la Stampina, seduta al tavolo, lo sguardo fisso alla parete di fronte, dove non c’era altro da guardare se non la fila di pentole di casa.
Poarèta!
La sèra pù de che part giràs, un’anima in pena.
Aveva suonato alla porta della canonica all’ora che andavano in giro solo i pensieri. Al suono del campanello don Pastore non aveva neanche fatto be’, la Rebecca ormai lo sapeva a memoria: se era una delle due Ficcadenti bisognava darle il via, anda!
Circa il resto del mondo non aveva istruzioni, ma quando aveva visto di chi si trattava l’aveva fatta entrare perché era il ritratto dell’anima in pena e in quel momento il vento fischiava forte, come goloso di carne umana.
Tanto non aveva mica disturbato.
Appena seduta, s’era messa a caragnare.
Tra una caragnata e l’altra aveva confessato che lei non sapeva più cosa fare, cosa pensare. Col Geremia non si poteva più parlare anche perché, con la scusa di provare il vestito per il matrimonio, non stava in casa che il tempo necessario per mettere a letto il padre e poi spariva.
Ormai lo capiva anche lei, non si poteva fare più niente per evitare quel vergognoso matrimonio.
Ma almeno le sarebbe piaciuto che qualcuno le spiegasse cos’era successo al cervello di suo figlio.
Mai stato una cima, d’accordo anche lei! Ma almeno sincero e tranquillo, fino a che quelle due erano piombate in paese.
Cosa si poteva dirci a quella povera donna?
El prevòst era rimasto zitto, l’aveva lasciata sfogare.
Lei s’era morsicata la lingua, ma avrebbe voluto dire che bisognava cercare lo zampino del diavolo.
Poi quando la cucina s’era riempita di buio, che sembrava di essere in una caverna, e di sospiri, don Pastore ruppe finalmente il silenzio.
«I disegni del Signore sono imperscrutabili, Stampina.»
La Rebecca non lo metteva in dubbio.
Ma quelli del diàol?
Tacque per carità di patria.
E nel silenzio che ne conseguì il vento che continuava a menare sberle prese possesso del tempo e dello spazio.
Vento dispari, vento del diàol, come tutte le cose dispari del mondo, con buona pace della Santissima Trinità che era la sua bella eccezione alla regola.