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Una volta rientrato a casa, il Geremia filò dritto a letto.
«Non mangi?» gridò la Stampina.
«No.»
Risposta secca, nessuna spiegazione.
Giusto così, pensò la Stampina.
Dopo quello che era successo in canonica, giusto che l’appetito fosse andato a farsi benedire. Giusto anche che il Geremia si chiudesse, solitario, nel suo dolore per digerire la delusione. E giusto infine che nessuno andasse a rompergli l’anima perché in fin dei conti il suo figliolo non era più un bambino.
Tutto talmente giusto che la Stampina, rivolgendosi al marito, si mise un dito sulle labbra per consigliargli di stare zitto: gesto inutile, poiché Amerisio non diceva mai niente, a parte emettere versi quando aveva l’intestino intasato.
Nel silenzio che seguì, la Stampina non fece altro che ascoltare se per caso, dalla camera da letto, venisse qualche rumore che le indicasse in quale stato d’animo versava il figlio. Non le sarebbe dispiaciuto udire qualche singhiozzo, indizio di lacrime che avrebbero spento più in fretta quella prima, cocente delusione d’amore. D’altronde l’età del Geremia era quella che era. Un’età in cui, cioè, un uomo che volesse dirsi tale piuttosto che farsi vedere piangere per una donna si sarebbe buttato nel lago.
Silenzio quindi, che a un certo punto si interruppe a causa del montante russare di suo marito che, piano piano, prese possesso dell’intera cucina.
O bestia!
Chi lo portava a letto adesso quel catorcio?
Leggera leggera, la Stampina si alzò dalla sedia per spiare nella camera, l’ambiente dove dormivano tutti e tre, il Geremia su una brandaccia ai piedi del loro lettone matrimoniale, separato da loro da un lenzuolo liso e macchiato che pendeva dal soffitto.
Il giovanotto era seduto, appoggiato al muro, gli occhi chiusi, completamente vestito, tranne le scarpe.
Pareva dormire.
La Stampina giudicò fosse meglio lasciarlo stare. E meglio, anche, lasciar stare il marito che ormai gorgogliava come una pentola di fagioli, destinandolo a passare la notte sulla sedia.
Non era la prima volta, non sarebbe stata l’ultima: ne sarebbe uscito arricchito il concerto di scrocchiamenti mattutini che accompagnavano il risveglio dell’uomo.
Poi si coricò, avendo cura di fare il minor rumore possibile, e con la precisa intenzione di volare, l’indomani, dal signor prevosto e ringraziarlo per ciò che aveva fatto a favore dell’intera famiglia.