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Pur non venerandolo come la Forcola, anche il Torsolo trovava motivi di allegria quando tirava vento.
La mattina di venerdì, svegliandosi all’alba e verificando che il vento l’aveva avuta vinta su qualunque cosa gli si fosse opposta sino al giorno prima, s’era sputato sulle mani, soddisfatto.
Una giornata doppiamente guadagnata, quella che cominciava. Aveva stabilito infatti di recarsi a Como dal Notaro, per riferire e riscuotere la sua mercede. E grazie a quell’ariaccia, quasi un phon, avrebbe perduto ben poco dallo stare lontano dai suoi boschi: le bestie che cacciava se ne sarebbero state rintanate ad aspettare che il vento calasse. Solo dopo, con lo stomaco pieno di aria, sarebbero uscite a cercarsi il cibo e per lui sarebbe stato un gioco da ragazzi farle cadere in trappola.
Rinfrancato da questa coppia di pensieri, il Torsolo entrò in Como con una certa spavalderia, sentendosi allegro e leggero. Soprattutto leggero, tenendo conto che l’Eleusina, tra barba, capelli, cropa e un certo desiderio che in qualche modo, alla lunga, appesantiva pure lui, gli aveva tolto almeno un paio di chili.
Nessuno lo guardò storto mentre attraversava la città né, men che meno, si azzardò ad allungargli monete. Di lì a poco, ben altro avrebbe suonato nelle sue tasche. E con una parte di quei soldi, il Torsolo decise che si sarebbe concesso un pranzo da arcivescovo alla trattoria dell’Orsa. Col che si sarebbe consolato ampiamente della difficoltà di riportare al suo committente notizie vaghe, forse non del tutto consolanti.
Pensando più al pranzo che lo aspettava che non a quello che stava per dire, bussò alla porta dello studio di Editto Giovio, notaro in Como.
Che quasi quasi se l’era dimenticato.
E quasi quasi non lo riconosceva.
Così pulito non l’aveva visto mai.
Il Giovio fu sul punto di chiedergli cosa facesse lì, come mai fosse così in tiro e privo del solito sacco in cui occultava la selvaggina presa di frodo.
Si era dovuto addirittura trattenere dal chiedere al Torsolo se anche lui si fosse finalmente deciso a mettere la testa a posto, abbandonare la sua vita raminga e mettere su famiglia.
Il Torsolo era rimasto un po’, una volta entrato, notando nel Giovio quell’aria strana.
Gioviale, come mai l’aveva visto. E lustro in viso, di barba appena fatta, ma non acceso di vino della sera prima che ancora circolava.
Di conseguenza si mise immediatamente sulle difensive.
«Ambasciator non porta pena» disse, senza avanzare di un passo verso la scrivania del Giovio.
«La porta» ordinò il Notaro visto che il Torsolo l’aveva lasciata aperta.
Che non uscisse neanche una lira di quel profumo che dal pomeriggio del giorno prima aleggiava nel suo studio.
Quando, ancora vestita di un lutto che ben presto le avrebbe fatto smettere, Giovenca Ficcadenti era stata lì.
Ma rosea in viso.
Forse solo un po’ screpolata, per via del vento.
Se osava disturbarlo, e dài con ’sto disturbo!, era solo perché riteneva fosse doveroso che lui fosse il primo a essere informato della novità.
Chi altri?, avrebbe voluto chiedere il Giovio.
E di cosa poi?
“Della condizione di salute della povera Primofiore” aveva risposto Giovenca.
Che in quei giorni si era aggravata, al punto da far ritenere che il momento della fine fosse ormai prossimo.
Il Notaro aveva assunto un’espressione consona alla notizia.
“Quindi…” aveva poi esalato.
“Già” era scappato alla Giovenca.
Meravigliosa sintonia di pensieri!
Senza parole i due s’erano detti tutto.
Perché, stando così le cose, ogni trama diventava inutile.
Al punto in cui si era, fosse stata questione di un giorno, una settimana o un mese, carità cristiana si imponeva. E voleva che la sua povera suocera, benché incosciente, godesse del compassionevole diritto di lasciare questo mondo all’interno delle mura che erano state la sua casa per tanti anni.
“Siete d’accordo?” aveva chiesto Giovenca.
Il Giovio s’era cullato dietro al pensiero di quanto quella sintonia d’intenti promettesse un futuro di dolcezze, silenzi condiscendenti, desideri realizzati senza troppo brigare. Solo l’oste dell’Orso sapeva anticipare così e poi esaudire le sue voglie alimentari.
Si era risvegliato da quel mezzo sogno alla domanda della giovane.
“Chi?” aveva mormorato.
“Voi!” aveva esclamato la Ficcadenti abbastanza stupita. “Chi altri?”
“Già” aveva detto il Giovio.
Chi altri?
Adesso invece davanti ai suoi occhi c’era il Torsolo, ridicolo nella sua raffazzonata eleganza, che aveva appena pronunciato quella stupida frase che contraddiceva se stessa.
Ne portava eccome di pene l’ambasciatore!
«Dimmi tutto» ordinò il Giovio, «senza tralasciare niente.»
Si avvicinava mezzogiorno, il vento si era dato una calmata. Ma era solo per tirare fiato e riprendere con ancora più forza poco più tardi.