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Chiunque l’aveva descritta come una scema, be’, probabilmente era più scemo di lei. Al capitano Messeneri, comandato all’azione in villa Coloni, l’avevano passata così e di conseguenza s’era preparato a tenere un discorso semplice, efficace e soprattutto comprensibile alla Forcola, onde ottenerne la collaborazione.
L’espressione dubbiosa con la quale la ragazza gli rispose, sulle prime gli confermò le informazioni che aveva.
Era scema, non aveva capito un accidente.
Poi, però, cambiò drasticamente idea.
«Si potrebbe fare meglio.»
Così, diretta, senza alcun timore reverenziale.
Il Messeneri non se ne adontò.
Chiese piuttosto come.
La Forcola si spiegò.
Poteva capitare infatti che per le ragioni più svariate e imprevedibili qualcosa andasse storto. Se il giovanotto non veniva colto sul fatto, poteva dire di non c’entrare niente in quella faccenda.
A quel punto loro carabinieri restavano con un pugno di mosche in mano.
«Sì o no?»
Il Messeneri fu costretto ad ammettere che sarebbe stato proprio così.
«Invece…» suggerì la Forcola.
Se all’arrivo, come tutti i giovedì, del Novenio, lei, prima di salutare e andarsene per godere la sua giornata di libertà, avesse finto di essersi dimenticata di dare alla Primofiore la medicina e gli avesse chiesto di farlo lui?
In quel caso lo avrebbero colto sul fatto e non avrebbe avuto alcun modo per difendersi.
«Giusto» ammise il Messeneri, «ma…»
Per coglierlo sul fatto, lo interruppe la Forcola, sarebbe stato sufficiente che lui si nascondesse nella stanza della malata, dietro uno dei pesanti tendoni che oscuravano le finestre.
Un gioco da ragazzi.
Il Novenio giunse in villa verso le otto del mattino, le scarpe umide di guazza, un’aria da habitué.
La Forcola, recitando magnificamente, gli disse che l’avevano da poco avvisata che sua madre non stava bene. Per l’agitazione s’era dimenticata di dare alla Primofiore le solite gocce, anzi, una dose maggiore come le era stato ordinato dalla signora.
Poteva farlo lui in modo che lei potesse correre al capezzale della madre?
Novenio soppesò la richiesta.
Non nutriva sospetti di sorta, gli scocciava solo di dover adempiere a un dovere che era invece compito di una servotta.
«D’accordo» rispose, «ma che non capiti più.»
«Non capiterà più» assicurò la Forcola.
Il Messeneri intanto aspettava dietro un tendone da cui inspirava odor di muffa e di bei tempi andati. Da un buco, opera di una tarma, aveva la visuale del letto della povera demente e qualche minuto dopo, in quel piccolo panorama circolare, vide comparire il giovanotto. Reggeva in mano un bicchiere, il veleno destinato all’omicidio.
Con molta calma, e mentre quello mescolava scrupolosamente l’intruglio, uscì dal suo nascondiglio e si avviò verso il letto.
Novenio udì i suoi passi.
Ma, ritenendo fosse la Forcola che, dopo aver indossato le scarpe pesanti, aveva bisogno di qualcosa, nemmeno si girò a guardare.
«Cosa c’è ancora?» urlò risentito.
«Mi spiace disturbarla» rispose allora il Messeneri, «ma mi tocca interromperla e doverosamente informarla di essere in istato di arresto con le accuse di tentato omicidio e violazione di proprietà privata.»
Solo allora il Novenio si girò.
Sul viso aveva un’espressione che il Torsolo avrebbe definito da cane morto.
Fece istintivamente per appoggiare il bicchiere sul comodino dell’ammalata.
Il Messeneri ne bloccò il movimento.
«Tenetelo pure in mano se vi fa comodo, fa lo stesso. Oppure, se volete, bevetene un po’.»
Il Novenio contrasse la fronte, gli era ancora difficile capire cosa stesse succedendo.
«Che proprietà privata?» chiese alla fine.
Eccone uno veramente scemo, pensò il Messeneri.
«La proprietà che voi state calpestando in questo momento» spiegò poi, «e che appartiene al Notaro Editto Giovio come da atto di vendita depositato…»