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“Un marito…”
Giovenca, all’uscita di Zemia, era rimasta veramente senza parole.
Un marito per la sua sorellastra!
E dove andava a trovarglielo?
A meno di fabbricarglielo su misura, lì nei dintorni non l’avrebbe certo trovato nemmeno a cercarlo col lanternino.
Nemmeno a pagarlo, e lautamente.
E nemmeno fosse stato cieco, poiché ogniqualvolta le avesse messo una mano addosso si sarebbe reso conto della scheletraglia che gli avevano appioppato e se la sarebbe data a gambe levate.
Opporsi alla sua insensata richiesta, mandarla a quel paese, invitarla a cercarselo da sé un marito come tutte le donne normali?
Pura teoria, aveva riflettuto Giovenca.
Così facendo c’era il rischio, anzi quasi la certezza, che Zemia, colpita nell’orgoglio, di ritorno mandasse lei a quel paese, la cacciasse da quella casa che era a tutti gli effetti sua, togliendole la possibilità di esibire nell’eventualità un alibi perfetto e un fior di testimone.
No, aveva deciso Giovenca, bisognava stare al gioco. E aveva cominciato a delineare le caratteristiche dell’eventuale marito della sorellastra.
Ci voleva sicuramente un fesso tutto d’un pezzo, un soggetto che si potesse far su a piacimento. Uno che, insomma, se lei gli avesse detto che quello che stavano guardando non era il sole ma la luna, le avrebbe creduto.
Esisteva un fesso di tal genere?
Boh.
E se anche fosse esistito, poteva essere fesso al punto da beccarsi senza un minimo di obiezioni una come la Zemia?
Poniamo di averlo trovato, aveva ragionato Giovenca.
Si poteva servirgli subito la Zemia?
No.
Bisognava ubriacarlo un po’ prima del colpo di scena.
E il vino giusto, Giovenca non aveva avuto dubbi, lo conosceva lei.