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«Riditemelo, Stampina, perché non ci credo» disse don Primo Pastore.
O forse, sperò, aveva capito male.
Macché.
La Stampina lo ripeté, parola per parola, anche se dirlo, più che pensarlo, e si vedeva, le dava dolore.
«Adesso vuole sposare quell’altra!»
Il prevosto, uomo di poca fede una volta tanto: «Siete sicura?».
«Sì.»
«Il Geremia?»
«Proprio.»
«Ma ve l’ha detto lui?»
«Con la sua lingua. E l’ho sentito con le mie orecchie» aggiunse la Stampina.
Decisamente, rifletté il signor prevosto, c’era qualcosa che non andava.
Se era già un bell’enigma che una come la Giovenca avesse deciso di accompagnarsi a un tontolotto come il Geremia, era invece un mistero bello e buono che adesso il Geremia avesse deciso di sposare la Zemia. D’accordo, l’abito non fa il monaco.
Ben diverse, rispetto a quelle dell’anima, sono le bellezze del corpo, destinate a svanire, mentre le altre restano tali e si abbelliscono con il passare del tempo.
Tuttavia anche l’occhio vuole la sua parte.
Il sacerdote era stordito, confuso.
«Ma come giustifica questa scelta?» chiese.
«Mi ha detto che una donna va conosciuta nel profondo» rispose la Stampina.
Il prevosto corrugò la fronte.
E dov’era mai andato a prenderle certe parole il Geremia?
«Non è farina del suo sacco» sentenziò don Pastore.
«E lo dite a me?» ribatté la Stampina.
Il sacerdote sospirò.
«Cosa avete intenzione di fare?» chiese.
«Lo ammazzo» chiarì la donna.
«Stampina…»
«Poi ammazzo anche quelle due!»
«Calmatevi» la esortò il sacerdote.
«Parlateci voi» disse la Stampina.
«Ma…»
«Sennò lo ammazzo davvero!»
«Va bene, domani…»
«No, adesso.»
Un sospiro ben più lungo del precedente circondò il volto della Stampina che nel frattempo, da viola, si era fatto rosso vivo. Senza far parola, don Pastore si avvicinò alla porta dello studio, l’aprì e chiamò la Rebecca per farsi portare il pastrano.
«Ma dove andate a quest’ora, benedetto uomo?» chiese la perpetua portandoglielo.
«So io» rispose il sacerdote.
«Chiudete bene» disse poi, «e non aspettatemi alzata.»