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Del perché il tre fosse numero perfetto, il Geremia non aveva la più pallida idea.
Forse perché dopo tre giorni di stitichezza sua madre gli faceva prendere l’olio di fegato di merluzzo. O forse c’entravano i Re Magi, che erano appunto tre. O sennò qualche triduo alla Madonna del Santuario di Lezzeno o a santa Rita da Cascia.
Un motivo c’era, il Geremia non lo sapeva e in ogni caso non gliene fregava niente di saperlo.
Sapeva però che dopo tre giorni ne aveva le balle piene di stare a letto e far finta di pensare a una decisione che aveva preso immediatamente, subito dopo che la Giovenca aveva finito di parlare.
Se era stato lì così, fermo immobile, senza neanche dire be’, andando in cesso di nascosto e di notte, era solo perché lui era un ragazzo serio e manteneva fede alla parola data alla sua promessa sposa: rifletterci per bene senza prendere decisioni affrettate.
Bon, tre giorni erano passati, la misteriosa perfezione di quel lasso di tempo s’era compiuta.
Nessuno, adesso, nemmeno la Giovenca, poteva dire che non ci avesse pensato per bene.
Quindi, al crepuscolo della quarta sera, la sera di lunedì 17 gennaio, fredda e luminosa d’Oriente, si mise a sedere sul letto, si sgranchì un po’ la schiena quindi chiamò la Stampina sua madre.