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Il Giovio s’era sognato le trappole del Torsolo e lui che ci finiva dentro.
Tutta colpa del bracconiere, di quello che gli aveva detto (“Via el gàt, bàla i ràt”), e di ciò che ne era seguito.
Nel sogno, il Torsolo aveva il muso di volpe impiantato su un corpo umano, lui invece era nudo, grasso come qualche mese prima, con un piede incastrato nella tagliola e gridava per essere liberato.
Il Torsolo, per tutta risposta, si slacciava la patta e gli pisciava in bocca.
A quel punto si era svegliato una prima volta con la sensazione di avere davvero la bocca piena di piscia, invece era solo un po’ di acidità.
Cazzo di un Torsolo!, aveva pensato.
Gli stava rovinando la notte dopo averlo fatto con la giornata.
Cosa aveva voluto dire con via el gàt, bàla i ràt?
Glielo aveva chiesto.
Niente, aveva risposto quello.
Ecco perché aveva poi sognato di essere finito in una trappola del Torsolo. Perché il bracconiere aveva capito di aver toccato il tasto giusto e aveva fatto i suoi bei conti.
Niente?
Cosa voleva dire?
Niente vuole dire niente, aveva risposto il Torsolo.
Era stato in quel momento che il Giovio se l’era immaginato con la testa di volpe, dopodiché l’aveva anche sognato.
Niente voleva dire che il Torsolo credeva a quello che vedeva, non a quello che sentiva.
E quello che sentiva era tutto lì.
Via el gàt, bàla i ràt.
Gentaglia, quella della razza cui il Torsolo apparteneva. Gente schifosa, pronta a venderti al migliore offerente. Gente che bisognava tenere per i coglioni se volevi farla ubbidire. Solo che adesso erano i suoi coglioni a essere in mano di un altro.
Se non avete più bisogno di me… aveva buttato lì il Torsolo.
Si poteva essere più bastardi di così?
Quel maledetto aveva capito che c’era qualcosa, qualcosa di grosso, che bolliva nella sua pentola, e non voleva restare a bocca asciutta.
Cosa poteva fare?
Aveva incassato il colpo, finto di niente e l’aveva fermato.
«Non ti ho chiesto di venire per niente» aveva detto.
Intanto aveva cominciato a far funzionare le rotelle per inventare una balla buona.
Di metterlo al corrente dei suoi propositi matrimoniali, non era neanche da prendere in considerazione. Il Torsolo era probabilmente furbo come le volpi che cacciava e magari anche mangiava, ma era anche ignorante come una scarpa, certe sottigliezze non le avrebbe capite: dopo l’iniziale sconcerto il Giovio aveva ristabilito le gerarchie, era lui il Notaro, quell’altro solo un villano ai suoi ordini.
Con fatica aveva ritrovato il suo solito tono, poi aveva aperto un cassetto della scrivania e ne aveva estratto una cartelletta a caso, agitandola verso il Torsolo.
«L’eredità Coloni» aveva detto.
Stava per chiedergli qualcosa che andava al di là del favore personale. Ascoltandolo, avrebbe appreso cose che nessuno, oltre a loro due, avrebbe dovuto sapere.
Non gli avrebbe chiesto di giurare di mantenere il segreto, perché sapeva di potersi fidare ciecamente di lui.
Il Torsolo aveva risposto facendosi il segno della croce sulla bocca.
«Bene» aveva approvato lui.
Non si sarebbe dilungato a raccontargli particolari di natura legale e procedurale poiché non gli sarebbe servito saperli.
Una cosa però doveva conoscere.
«Cercherò di rendere facile la faccenda.»
Aveva cominciato a spiegare, aria fritta.
Nell’intricata trama dei lasciti testamentari che erano seguiti alla morte prima del Coloni junior e poi del Coloni senior, c’erano risvolti di estrema rilevanza civile, quando non penale, che riguardavano parte dell’eredità liquida e parte di quella lasciata in solido.
«In sostanza sto parlando di soldi e terreni.»
Ora, nel pieno rispetto delle volontà dei due defunti, che si erano premurati di fare in modo che la povera Primofiore venisse tutelata, stante la grave malattia, affinché nulla le mancasse, era fondamentale muoversi con piedi di piombo tenendo in conto di privilegiata la stessa demente che, sebbene erede, poteva facilmente essere diseredata chiamando in causa la malattia da cui era affetta, se la transizione fosse stata in qualche modo contestata da qualcuno e se, malauguratamente, fosse andata a cadere nelle mani di qualche avvocatucolo o, peggio ancora, in tribunale.
«Quindi…» aveva detto il Giovio.
E invece.
«Quindi» l’aveva interrotto il Torsolo, «non offendetevi se vi dico che non ci sto capendo un accidente e vi sarei grato se mi diceste quello che volete da me, sempre che ci sia qualcosa che posso davvero fare in questo garbuglio.»
Il Giovio aveva tirato un sospiro di sollievo e si era sentito di nuovo a cavallo, in posizione di favore: la mente primitiva del bracconiere era confusa al punto giusto, allontanato il pericolo che quello potesse anche solo sospettare che ci fosse del tenero tra lui e la Ficcadenti.
Adesso poteva pescare nel torbido a suo piacimento.
Perché, si sa no?, come andava in casi come questo.
Una persona così fragile quale la Primofiore, sarebbe stato semplice per chiunque circuirla, venirsene fuori con improbabili documenti che non sarebbe stato difficile svergognare in pubblico, ma ci sarebbe voluto del tempo, parecchio a volte, e nuove complicazioni… e ancora, ancora…
Per lui, Notaro, non sarebbe certo stata una novità veder comparire all’improvviso un parente alla lontana, uno di quei soggetti con l’animo dell’avvoltoio che, appunto, sentendo odor di carogna calavano a terra per ottenere la loro fetta di torta.
Lui aveva una sola parola ed era quella che aveva dato al maggiore Coloni, buon’anima, quando era ancora in vita e gli aveva dettato le sue volontà testamentarie.
«Ragione per cui ho bisogno di avere l’assoluta certezza di potermi muovere senza trovarmi il bastone tra le ruote.»
In sostanza, pubblicare il testamento con la sicurezza che nessuno si potesse mettere in testa di contestare questo o quel passaggio.
A tale proposito gli erano venute alle orecchie voci…
Forse pettegolezzi, forse no.
Chiacchiere che come tali non avrebbero meritato alcun ascolto se non avessero riguardato però il suo lavoro.
«Mi serve che per qualche tempo tu tenga d’occhio la villa, senza dimenticare di ascoltare, senza parere, ciò che in Albate e nei suoi dintorni si dice. Qualunque novità la riferirai a me.»
Solo quando sarebbe stato sicuro che nulla potesse ostacolarlo si sarebbe deciso a muovere i suoi passi.
Volendo, qualche bella novità, qualche chiacchiera non proprio campata in aria, il Torsolo gliel’avrebbe potuta servire subito. Ma così facendo non avrebbe potuto presentare il prezzo di giorni e giorni passati a indagare.
E poi c’era quell’altro aspetto della faccenda.
Che il Giovio lo ritenesse scemo per nascita non gli faceva effetto, anzi a volte, gli era convenuto passare per tale. Ma voleva evitare di finire in mezzo a qualche inghippo oppure, peggio, in mano a quei cagarogne di avvocati o in tribunale.
«Comportati come quegli animali cui dai la caccia» aveva risposto il Giovio, «ti pagherò il doppio per ogni giornata persa al mio servizio. E in caso di guai, ti rilascio sin d’ora una dichiarazione scritta con la quale ti autorizzo a svolgere questo lavoro per conto mio e al fine di rendere un servizio alla giustizia.»
Più che rassicurato, e ottenuto un anticipo da parte del Giovio, il Torsolo se n’era andato.
Per ritornare qualche ora più tardi nel suo sonno tribolato, mezzo animale e mezzo uomo, a ridere di lui dopo avergli pisciato in bocca.