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Convocarla di nuovo lì da lui a pochi giorni da quel primo abboccamento oppure andare lui da lei?
Quale delle due mosse avrebbe creato maggiore ansia in Giovenca Ficcadenti disponendola a credere che lui e solo lui fosse l’unica ancora di salvezza in quel mondo di codici e pandette, meritevole quindi di essere ripagato con generosità (e sulla sostanza di quella generosità non ci sarebbero state discussioni)?
In quei due giorni il Notaro Editto Giovio non aveva fatto altro che riflettere sul risultato che avrebbe prodotto sulla giovane l’una o l’altra delle due mosse.
L’artificioso faldone con il quale aveva voluto impressionare la Ficcadenti, un pacco di inutili fogli che gli era servito già in altre occasioni, era finito sotto la scrivania.
Ragionando, gli era capitato più volte di agitare per aria la mano stretta a pugno, come se davvero stringesse il bastone davanti al quale la Giovenca avrebbe dovuto, nelle sue intenzioni, abbassare lo sguardo e non solo quello.
Come una spada degli antichi, il bastone aveva un nome ed era quello di Primofiore, la matta di casa.
Perché, che fosse matta, era fuor di dubbio.
Nessuno, però, si era mai preoccupato di dichiararla tale agli occhi del mondo. Di conseguenza, ai fini legali ed ereditari, poteva vantare pienamente i suoi diritti di moglie e vedova. Che non erano pochi!
Se ne rendeva conto la Giovenca?
Sicuramente no, era convinto il Notaro.
E buon per lui, che su tanta ignoranza aveva stabilito di dispiegare il primo attacco al pallore della sua assistita.
Attacco non privo di rischi, neh!
La sua esperienza di assiduo frequentatore di servi della gleba gli aveva insegnato che tra di essi c’era sempre qualche ignorantone infarinato di leggi per sentito dire che avrebbe potuto indirizzare la giovane alla corte di qualche avvocatuccio morto di fame che per quattro soldi si sarebbe preso in spalla la sua situazione.
Un uomo navigato come lui non si sarebbe comunque arreso davanti a un’eventuale sconfitta, una battaglia persa non poteva inficiare l’esito finale della guerra. Messa altrimenti, il Notaro Editto Giovio aveva un’altra carta da giocare.
Unica, decisiva.
Ma l’avrebbe tirata fuori solo al momento giusto per fare piazza pulita dei nemici e avere campo libero. Per intanto gli conveniva agire come se navigasse sott’acqua e al momento riflettere se gli giovasse di più convocare nuovamente la ragazza presso di sé, e per ragioni di urgenza, oppure andarci lui alla villa, scusandosi per il disturbo ma giustificandosi con un motivo di assoluta priorità.
Secondo il suo costume, Editto Giovio, al fine di decidere, aveva atteso le campane di mezzogiorno e solo dopo essersi seduto nella solita trattoria aveva ripreso a masticare la faccenda.
Quel giorno l’oste gli aveva messo nel piatto una mezza gallina fredda senza nemmeno chiedergli un parere. Il vino invece l’aveva comandato lui, barolo di una bottiglia polverosa il cui contenuto avrebbe ubriacato al solo vederlo qualunque cristiano.
Perso nel suo ragionamento, il Giovio aveva triturato la gallina, ossa comprese, scolando la bottiglia col metodo di un sorso ogni due bocconi. Quando il fondo del piatto aveva fatto il pari con quello della bottiglia, il Notaro aveva emesso un rutto allegro: la decisione era presa. Sarebbe andato lui da lei, accompagnato come si conveniva a un uomo della sua posizione da Spirito Sofia, detto Sisino, Trasporto Passeggeri con rimessa in via Sass Corbèe.
Quindi, giubilata gallina e barolo con un grappino finale, si era abbandonato a un sonno scomposto, rumoroso e sorridente senza muoversi dalla trattoria.