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Più volte in casa, e senza troppi complimenti, le avevano detto che era scema.
«Forcola, sei scema!»
E solo perché le piaceva il vento. Di notte soprattutto, perché teneva il cielo bello sgombro e si vedevano le stelle, migliaia di migliaia, che lei, con l’unico occhio buono, si divertiva a contare, perdendosi nei numeri e ricominciando da capo.
Secondo suo padre Florio, lei era l’unica sulla faccia della Terra cui piacesse il vento, inviso invece a tutto il resto dell’umanità per le sue molteplici, malvagie caratteristiche.
Faceva ammalare, portando con sé misteriosi bacilli che altrimenti, senza la sua forza deostruente, se ne sarebbero rimasti a casa loro, e quando non ammalava, rendeva nervose le persone.
Lui, per esempio, quando tirava vento era una sola bestemmia.
A sua madre invece faceva venire un mal di testa porco, contro il quale non c’erano impacchi di aceto che tenessero. E poi asciugava l’aria, la faceva diventare secca secca così i salami si rovinavano e nell’orto pareva che fosse passato el diàol.
Infine, lei, la Forcola, a sentire suo padre era la dimostrazione del bel risultato di averla concepita in una notte di vento, che doveva ancora nascere il cieco che se la sarebbe portata via da casa. A meno che, a farlo, ci pensasse proprio lui, quel vento che la ragazza amava tanto.
Tanto che le dispiaceva quando, per ragioni che le sfuggivano, il vento non riusciva a dispiegare tutta la sua forza e doveva rimandare la sua discesa su uomini e cose.
Era successo così in quei giorni.
Segni l’avevano avvisata che il vento stava per arrivare. Un odore di camini diffuso ovunque, l’acre sapore del fumo rigettato nelle cucine e una luce che a tratti sferzava lo sguardo che la Forcola amava e allo stesso tempo temeva di perdere qualora l’unico occhio buono avesse smesso di vedere. E una certa inquietudine ben nota anche ai suoi di casa e che era stata più volte motivo di dileggio, perché l’aveva destinata al paragone con le galline del pollaio domestico, pure loro sensibili al giungere del vento cui rispondevano con uno stupido agitarsi e, spesso, con lo smettere di produrre uova.
Anche dalle galline la Forcola aveva imparato a trarre presagi. Non solo del giungere del vento.
I segni della fine, per esempio.
Al punto che si poteva dire che la giovane della vita sapeva ciò che aveva imparato dai pennuti.
Quei segni che mercoledì 2 febbraio aveva cominciato a notare nella malata che le era stata affidata, la vedova del maggiore Eracle Coloni.