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Cose da uomini piaceva trattare al maresciallo Citrici, mica affari di cuore.
E men che meno, affari di cuore con altri uomini.
Figuriamoci con il signor prevosto!
Tuttavia, poiché voleva sapere, anzi doveva sapere, per giungere al traguardo senza fare la parte del mezzano, studiò una tecnica subdola affinché a entrare in argomento fosse don Pastore e non lui.
Si avviò alla volta della canonica venerdì mattina, sul tardi. Durante il resto della notte, anziché altra neve, era caduta la pioggia, trasformando le strade in una puciacca unica, il cicciac delle sue pedate sul marrognolo miscuglio si confondeva con quello di altrettanti liberi cittadini in giro per i loro affari.
Tagliando in diagonale la piazza della chiesa, il Citrici osservò il cielo ancora grigio, quindi il suo sguardo si posò sullo straziato calicantus: rifletté sulle risate che qualche collega si sarebbe fatto alle sue spalle se avesse saputo che doveva indagare sulla deflorazione di una pianta e su un cuore trafitto, ma da pene d’amore.
Qualcuno, però, pensava che non ci fosse proprio niente da ridere.
Qualcuno che lo stava osservando con occhi felini e che, quando suonò al cancello della canonica, ebbe un sussulto e un sospiro di sollievo.
Un rappresentante della legge quale era il maresciallo Citrici, pensò Rebecca, non poteva perdonare come se fosse un qualsiasi cristiano, mica poteva decidere a sua discrezione cosa fosse reato e cosa no. Quindi, se era lì, era segno che lo smozzicato calicantus avrebbe avuto la sua giusta vendetta.
Il prevosto era nel suo studio, stava aggiornando gli archivi della parrocchia.
«Qual buon vento!»
Furono le uniche parole che la perpetua udì pronunciare al sacerdote, dopodiché si ritirò in buon ordine nella cucina.
Checché ne dicessero le malelingue, lei non aveva l’abitudine di orecchiare dietro le porte: tanto le cose, prima o poi, le veniva a sapere lo stesso.
Il Citrici intanto si era accomodato su invito del prevosto.
«Deciderete voi se il vento che mi porta qui è buono o cattivo» rispose il maresciallo.
Poi, ridendo, affermò che per quell’occasione avrebbero dovuto scambiarsi gli abiti: lui indossare quelle del ministro di Dio e il prevosto quelli da maresciallo.
Il sacerdote lo guardò bonariamente.
«Abbiamo le stesse misure?» chiese.
In quanto a pancetta, insomma…
Ma la questione era un’altra.
Per una volta ne sapeva di più il reverendo, che non il rappresentante dell’Arma. E gli toccava chiedere umilmente lumi circa un certo soggetto, così da sapere come comportarsi.
Il prevosto già dubitava.
«Età?» chiese.
«Giovane.»
«Figlio di?»
«Unico.»
«Lavoro?»
«Cotonificio.»
Il prevosto sospirò.
«Cos’ha fatto?» chiese.
Il Citrici riassunse brevemente gli eventi della notte.
«È matto, nel qual caso dovrò informare l’ufficio provinciale d’igiene oppure, come sostiene la madre…»
«Cosa dice la madre?» interloquì il prevosto.
«Che è innamorato» chiarì il maresciallo con un certo disgusto.
Il sacerdote confermò con un cenno del capo.
«Follemente, per quanto mi sia dato giudicare» confessò.
«E di chi?»
«Di una delle due Ficcadenti.»
Il Citrici socchiuse gli occhi, da intenditore.
«Non può allora che essere quella bionda, alta, slanciata… bella donna indubbiamente.»
«Direi che non c’è possibilità di errore. L’altra, per sua sfortuna, la sorella…»
«Sorella?» lo interruppe il maresciallo.
«La sorella, sì, quella piccola, magra…»
«Sorellastra, reverendo, sorellastra!» precisò il maresciallo.
«Come, sorellastra?»