Capitolo 99

«Niente male», esclamò Bryant, accostando davanti al civico 27 di Redlake Lane.

La villetta, all’interno del nuovo complesso residenziale di Hagley, aveva un portone verde bottiglia stretto fra due colonne di finta pietra.

Nel vialetto, una BMW Serie 5.

La detective bussò forte alla porta.

Attese qualche secondo prima di sbirciare dalle finestre buie.

Riuscì a distinguere solamente le sagome indistinte dell’arredo; una di quelle stesse forme, tuttavia, poteva rivelarsi un corpo senza vita.

«Capo, credo…».

«Scordatelo, Bryant. Stavolta entro. Sono davvero convinta che qualcuno possa essere in pericolo».

«A dire la verità, te lo volevo proporre».

Kim gli sorrise. «Bene, allora tu occupati della parte sopra, io penserò alla base».

Essendo sprovvisti di un ariete, si sarebbero dovuti accontentare delle loro forze unite.

«Conto fino a tre».

«Uno».

«Due».

«Tr… oddio…», gridò Kim, rovinando a terra nel corridoio insieme al collega.

Una bella donna, con indosso un pigiama di raso e una maschera di bellezza sulla fronte, aveva aperto la porta giusto un secondo prima dell’impatto.

«Cosa accidenti pensate di fare?», domandò, facendo rimbalzare lo sguardo fra lei e Bryant.

«Polizia», spiegò Kim.

L’espressione della donna non cambiò. «E?».

La detective aggrottò la fronte. «Chi è lei?».

La donna incrociò le braccia. «A mio modo di vedere dovreste essere voi a presentarvi, visto che stavate per fare irruzione in casa mia».

«Casa sua?», le chiese Dawson, mostrandole il distintivo.

Se Stacey aveva sbagliato indirizzo, non l’avrebbe passata liscia.

Non sarebbe stato né il primo né l’ultimo reclamo a suo nome depositato sulla scrivania dell’ispettore capo, ma proprio per questo preferiva limitare i danni alle occasioni in cui c’era una motivazione seria per fare incazzare qualcuno.

«Be’, ci vivo insieme al mio compagno».

«Come si chiama?».

La donna piegò la testa all’indietro, con aria sempre più sconcertata. «Mi dispiace, ma…».

«Basta solo che ci dica il suo nome, per favore», intervenne Bryant, racimolando tutta la pazienza che gli rimaneva al termine di un turno di quattordici ore.

«Steven Lambert. Il dottor Lambert».

Kim tirò un sospiro di sollievo. Ottimo lavoro, Stacey. Quel reclamo, per lo meno, se lo sarebbe evitato. Stavano cercando di salvargli la vita.

«Possiamo parlare con il dottore?»

«Non ho idea di cosa vogliate da lui, ma se volete parlarci dovrete tornare domani, a un orario più ragionevole…».

«Signorina… non importa. Abbiamo seriamente bisogno di parlare con lui».

«Be’, non è possibile. Non è in casa».

Era proprio la risposta che non voleva sentire. «Dov’è?».

La donna scrollò la testa, esasperata, e Kim immaginò la lettera di protesta che avrebbe scritto; a occhio e croce sarebbe potuta arrivare a due pagine.

«È un dottore, un medico di base, riceve le chiamate. È uscito mezz’ora fa circa».