Capitolo 108

Kim spalancò la doppia porta dell’atrio con un altro piano in mente.

Se il suo primo obiettivo era impedire che il medico facesse una brutta fine, allora le serviva un diversivo. Doveva farsi sentire e sperare che l’assassino preferisse salvarsi la pelle piuttosto che uccidere la propria vittima.

Doveva correre quel rischio. Continuare a muoversi da una stanza all’altra finché non li avesse trovati sarebbe equivalso a firmare la condanna a morte del dottor Lambert.

Colpì il lucchetto che chiudeva le ante dell’armadio delle emergenze con l’impugnatura della torcia di Bryant.

Furono necessari altri due tentativi per rompere la fragile serratura.

Illuminò l’interno con la torcia, e sorrise. Tra le sedie da evacuazione, le barelle pieghevoli, i kit di emergenza e le cassette del primo soccorso, trovò esattamente ciò che cercava.

Perfetto.

Prima di impossessarsene, prese il cellulare e chiamò il suo collega.

«Bryant, l’assassino non è lontano», esclamò.

«Shhh…», rispose lui, bisbigliando. «Ti sentirà».

«Sì, cambio di programma. Torna indietro e vieni qui, presto», disse, chiudendo la chiamata.

Varcò di nuovo la soglia, imboccando il corridoio simile a una galleria. Rimase in ascolto per un momento, ma non udì alcun rumore.

Allora si portò il megafono alla bocca e lo accese.

«Sono la detective Stone. L’edificio è circondato. Vieni fuori con le mani in alto».

Niente, proprio come si aspettava. Quell’uomo non si sarebbe arreso facilmente.

Sollevò ancora una volta il megafono.

«Va bene, amico, inizia a correre perché sto venendo a prenderti».