Capitolo 65

«Accidenti, capo, l’ho sentito urlare da qui», commentò Bryant. «Sarà meglio che torniamo in tempo per l’appuntamento».

«Esatto. Nel frattempo, spero che avremo trovato Mia. La sua sicurezza è molto più importante della mia lavata di capo. E poi, così avrò qualche ora per esercitarmi a fare la faccia dispiaciuta».

Bryant scoppiò a ridere. La colse di sorpresa, perché la sua non era una battuta.

«Devo concludere che Hayley fosse nota alle forze dell’ordine e che questi siano i suoi ultimi tre indirizzi?»

«A quanto pare, sì», rispose Kim guardando il foglietto; accanto all’ultimo, un appunto scritto a mano precisava che vi aveva sicuramente abitato fino a un mese prima. Se Mia fosse stata a casa ad aspettare il ritorno della mamma, sicuramente l’avrebbero trovata lì.

Da una parte Kim sperava che la bambina fosse già in salvo. Prima di lasciare la scena del crimine, aveva fatto una chiamata al commissariato e una squadra di agenti aveva già iniziato a cercarla. Finché non avessero scoperto cosa era accaduto alla figlia di Hayley, quel caso sarebbe rimasto bloccato. Kim si augurava che non fosse con sua madre quando l’assassino l’aveva sorpresa. In quel caso, potevano solo sperare che il killer avesse avuto rispetto per la vita di una bambina, se non per quella di Hayley.

Impiegarono un paio di minuti per raggiungere le case popolari di Colley Gate, a circa tre chilometri dal centro di Halesowen. Kim avrebbe voluto saltar giù dalla macchina in movimento, tanto era impaziente di correre verso l’appartamento, rompere un vetro, entrare e cercare Mia.

«È quella», disse Bryant, indicando l’ultimo blocco di una schiera, cinto da un piccolo giardino su tre lati.

Kim sentì una stretta allo stomaco quando si accorse che la casa era sfitta. Le finestre senza tende mostravano lo spazio buio e vuoto all’interno. Sulla porta avevano fissato un avviso con il nastro adesivo.

«Merda», esclamò imboccando il vialetto della casa accanto.

Bussò forte per sovrastare la musica rock sparata a tutto volume.

Nessuna risposta.

Si avvicinò alla finestra e bussò ancora più forte. Non sopportava di imbattersi nell’ennesimo vicolo cieco. E non ammetteva che esistesse qualcuno che ignorava la scomparsa di quella bambina.

La musica si azzittì all’improvviso e poco dopo un uomo dalla mole gigantesca spalancò la porta.

«Polizia», si affrettò a dire lei.

Lui smise all’istante di guardarla in cagnesco. «Il volume non era tanto alto, e poi l’appartamento a fianco è vuoto».

«Ne è sicuro?», domandò Kim.

Lui annuì. «Sì, da settimane».

La frustrazione di Kim era sempre più grande. Capì che Mia non si trovava lì, nonostante fosse l’indirizzo più recente che conoscevano. Poteva solo sperare che il vicino le desse qualche informazione utile.

«Conosceva bene Hayley?».

Le sue labbra si curvarono lentamente in un sorriso. «Ci ho provato, non so se capisce cosa intendo».

«Sì, credo di sì», rispose la detective, cercando di ignorare la sua espressione viscida.

«Quando ha traslocato?», chiese. A loro risultava che l’indirizzo risalisse a poco più di un mese prima.

Lui si strinse nelle spalle. «Non so se l’ha mai fatto».

Kim lanciò un’occhiata alla casa. Forse si era sbagliata. «Vuole dire che…».

«Se n’è andata, ma non ha portato via la sua roba, credo. Sono venuti quelli del comune a prendersi tutto. Ho cercato di sgraffignare qualcosa, ma me l’hanno impedito. Farabutti. Probabilmente se la spartiscono tra loro…».

«Di quale roba parla?», domandò Kim. Non aveva tempo da perdere.

«Mobili, roba per la cucina, giocattoli, vestiti. A me i vestiti non interessavano, ovviamente».

«Ha lasciato qui i vestiti?», domandò Kim.

Lui annuì convinto, come se fosse felice di rendersi utile.

«È quello che sto cercando di dirle. Se n’è andata senza prendere niente».

«Va bene, grazie», rispose Kim, avviandosi all’auto con l’espressione corrucciata e due domande che le ronzavano per la testa.

Cosa aveva spinto Hayley ad andarsene a mani vuote? E dove diavolo era sua figlia?