Capitolo 11
Una linea sottile separava la D del codice di avviamento postale di Dudley dalla B di quello di Sandwell e, sebbene per la maggior parte delle persone non avesse alcuna importanza, esistevano due gruppi per cui significava moltissimo.
La banda dei Deltas era nata all’interno del complesso edilizio di Hollytree negli anni Ottanta, quando era diventato il ghetto in cui spedire tutti coloro che erano stati sfrattati dalle altre case popolari.
Con il passare degli anni la gang aveva preso piede anche al di fuori del quartiere, ma nonostante qualche scontro per il controllo del territorio con i B Boys, erano riuscite a mantenere una sorta di pace, per quanto instabile, finché tra due famiglie appartenenti agli schieramenti rivali non era scoppiata una faida che era finita con la morte di un bambino di nove anni, accoltellato durante uno scontro. Tutti erano consapevoli che era solo un cessate il fuoco temporaneo e che in qualsiasi momento una scintilla avrebbe potuto far divampare una violenza sanguinaria.
Kim si sforzò di tornare col pensiero nell’auto e di nascondere la frustrazione per la guida iper prudente del collega. In confronto alla sua Kawasaki Ninja, l’Opel Astra sembrava una scatola di latta.
«Puoi chiedere quanto costa aggiungere il mio nominativo alla tua assicurazione, Bryant. Pago io».
Lui fece una risatina educata.
«Non sto scherzando», disse Kim, mentre si avvicinavano all’indirizzo che lei gli aveva indicato.
Era la seconda volta che si sentiva come una macchina da corsa con il freno a mano tirato. Esigeva che il suo mezzo di trasporto andasse alla velocità dei suoi pensieri e del progredire delle sue idee.
«Okay, fermati qui», disse quando raggiunsero la chiesa di Holy Trinity a Old Hill.
«Non si ritrovano accanto a quello che un tempo era il negozio di fish and chips Blue Oyster?», domandò Bryant, riferendosi alla fazione del posto, i B Boys.
«Non li voglio tutti», rispose. «Ne voglio uno solo».
E sapeva benissimo dove trovarlo.
«Aspettami qui», indicò al sergente, che si stava slacciando la cintura di sicurezza.
Scese dall’auto e si diresse verso un piccolo sottopassaggio che conduceva al complesso di case popolari Riddins Mound.
Costruito negli anni Sessanta nei pressi del cavalcavia di Halesowen Road, Riddins Mount era composto da tre alte torri suddivise in 547 appartamenti, sette palazzi a tre piani, nove villette a due e quattro bungalow. Nei primi anni Novanta, quando le costruzioni erano ormai in dissesto, una delle torri era stata demolita, mentre gli altri edifici erano stati ristrutturati e le infrastrutture potenziate.
Come prevedeva, scorse un uomo rannicchiato sull’asfalto. La sua giacca, sebbene sporca, era di buona qualità e le scarpe avevano suole messe meglio di quelle che portava lei. Aveva i capelli lunghi e spettinati, proprio come Kim ricordava.
L’uomo allungò la mano, in cui stringeva un barattolo di latta, e lo agitò facendo tintinnare un paio di monete.
«Dacci un taglio, Dundee», esclamò lei, parandoglisi davanti.
«Oh, merda. Che cavolo vuoi?».
Kim conosceva bene quell’uomo, e anche lui la conosceva bene. Negli ultimi anni, l’aveva arrestato per piccolo spaccio più spesso di quanto avesse consumato un pasto caldo. Se gli avesse svuotato le tasche, avrebbe avuto di che sballarsi per un mese.
Quando Dundee apriva bottega, legava una bandana alla ringhiera del sottopassaggio, e a quel segnale le teste facevano capolino dalle finestre dei palazzi per assicurarsi che fosse al solito posto.
Era andato dentro un numero infinito di volte; immancabilmente, subito dopo il rilascio tornava al suo posto e riprendeva l’attività come se niente fosse. Per lo meno, a quanto ne sapeva non vendeva ai minorenni.
Era anche un membro della gang dei B Boys.
Alzò la testa per guardarla e la sua faccia fu investita da una luce gialla che le conferì un aspetto itterico.
Kim si guardò intorno in quel luogo buio, cupo e deprimente.
«Quindi hai deciso che questo è il tuo ufficio?».
Lui fece spallucce. «È caldo».
«Ho bisogno di una cosa, Dundee. Un’informazione».
Lui scrollò la testa, guardando alle due estremità del sottopassaggio. Presto sarebbero arrivati i clienti e non ci avrebbe fatto una bella figura se l’avessero sorpreso a parlare con uno sbirro.
«Hai scelto il tipo sbagliato. Non sono un infame».
«Non voglio quel genere di informazioni. Voglio sapere un nome», disse lei, sfilando il telefono dalla tasca. Scorse la galleria fino all’immagine del tatuaggio. «È uno dei vostri?».
Tradizionalmente, le rondini erano associate ai marinai, che avevano l’usanza di tatuarsi uno stormo di quegli uccelli sul petto. La leggenda narrava che se quel tipo fosse affogato, le rondini avrebbero ripescato la sua anima e l’avrebbero portata in paradiso.
In Inghilterra, inoltre, le rondini tatuate erano spesso il simbolo dell’orgoglio della classe lavoratrice; l’allusione era ai pugni veloci, pugni “volanti”. La rondine dei B Boys era riconoscibile perché le mancava una penna dall’ala destra.
Dundee si strinse nelle spalle.
«Guarda meglio», disse, piazzandogli il cellulare in faccia.
«Potrebbe essere».
Kim rimase in attesa.
«Sì», confermò lui. «Ma hai idea di quante persone se la sono tatuata negli anni?». Diede un’altra occhiata alla foto. «Chiunque sia, comunque, è una checca».
«E perché?», chiese.
Lui alzò gli occhi al cielo. «Perché più il tatuaggio è in un punto evidente, maggiore è la tua fedeltà alla gang», spiegò, indicando con il dito il suo, piazzato proprio in mezzo alla fronte. «È la dimostrazione che non hai alcuna intenzione di tirartene fuori».
«Ti viene in mente qualche nome?»
«No, sono troppi…».
«E se guardi questa?», gli domandò, mostrandogli una foto del volto del cadavere. Sperava di poterlo evitare, ma era il modo più rapido per scoprire la sua identità, e la vittima aveva bisogno di un nome.
«È morto?», chiese Dundee, avvicinandosi alla foto, ma i suoi lineamenti furono scossi da un lieve fremito, a dimostrazione che l’aveva riconosciuto.
«Lo conosci, vero?».
Lui scrollò la testa.
«Dundee, stai mentendo. Dammi un nome, altrimenti lascio l’auto di pattuglia parcheggiata qui per un’ora, nel momento di punta dei tuoi affari».
Lui le lanciò uno sguardo di sfida, ma dopo tutte le volte che l’aveva arrestato sapeva che Kim faceva sul serio.
«Luke Fenton, e non saprai altro. Anzi, una cosa te la dico: che quello stronzo non meritava di tenersi la rondine sul collo. Dovevamo cancellarla con un attizzatoio rovente».
«Vuoi dire che dovevate buttarlo fuori dalla gang?», chiese lei sorpresa. Solitamente i B Boys non si facevano troppi problemi. Un affiliato era un affiliato.
«È stato buttato fuori dalla gang», esclamò lui, sputando alla sua sinistra.
«Perché?», domandò lei avvicinandosi. Non aveva mai sentito di qualcuno che fosse stato espulso dai B Boys.
Lui scrollò la testa deciso. «Non lo dirò mai».
Maledetto quel senso di lealtà alla gang, più forte di tutto il resto. Qualunque cosa avesse fatto per essere buttato fuori da una gang criminale ed essersi guadagnato il disprezzo di uno spacciatore, Dundee non gliel’avrebbe mai raccontata.
«Dundee, mi basta una chiamata e fra due secondi l’auto sarà qui…».
«Puoi chiamare anche tutte le pattuglie della contea, non ho intenzione di dirti nient’altro».