Capitolo 115
In attesa del primo appuntamento della giornata, l’ispettore capo Woodward sfogliava la sua agenda.
La sua passione per le liste era nata durante i primi anni di servizio. Gli piaceva mettere le cose per iscritto, vederle nero su bianco. Qualsiasi compito, per quanto insignificante, era annotato e successivamente trasferito in coda alla lista principale. A mano a mano che li portava a termine, cancellava la riga corrispondente con un godurioso tratto di penna, e si concedeva di andare a casa solo dopo aver ricopiato sotto il giorno seguente tutte le cose che non era riuscito a sbrigare. Era molto utile. Per esempio, gli mostrava quali impegni, consciamente o inconsciamente, tendeva a procrastinare, perché succedeva spesso che fosse costretto a spostarli all’indomani.
Stava aspettando di incontrare la detective Stone alle sette, l’inattesa richiesta di scambiare due parole da parte di uno dei membri della sua squadra l’aveva colto di sorpresa. Voleva già scappare?
Due colpetti alla porta.
«Prego, sergente Bryant», esclamò.
Sebbene non avesse mai lavorato con lui, sul suo conto aveva sentito solo lodi per l’etica che dimostrava sul lavoro, per la sua affidabilità e l’impeccabile giudizio. “Un buon braccio destro per Stone”, pensò. Gli sembrò sveglio, pronto a iniziare la settimana. L’unico neo era l’espressione pensierosa che aveva sul volto.
«Siediti, Bryant».
«Sto bene in piedi, signore. Non le ruberò molto tempo. Devo solo chiederle una cosa che mi sta preoccupando».
Woody si appoggiò allo schienale. «Dimmi, prego».
Forse si stava chiedendo come fosse finito in quella squadra? Voleva sapere se era stato richiesto da qualche altra stazione? Si stava domandando quanto avrebbe dovuto aspettare per un trasferimento?
«Ho visto una foto, signore, questa settimana. Era una vecchia immagine di una bambina di sei anni che veniva portata via da Chaucer House, uno dei condomini del complesso di Hollytree, insieme al suo fratellino chiuso in un sacco. Era circondata da numerosi agenti di polizia e uno, in particolare, le assomigliava moltissimo».
Preso in contropiede dalla domanda, Woodward si alzò e andò alla finestra, riflettendo sulla risposta da dargli.
Sì, era presente quando avevano sfondato la porta dell’appartamento al settimo piano. La prima cosa che aveva sentito era stato il fetore insopportabile, ma non immaginava che ci fosse una bambina ammanettata al corpo in decomposizione del fratello.
All’inizio aveva pensato che fosse morta anche lei; a un tratto, però, i suoi occhi si erano spalancati, colmi di paura, e poi si erano richiusi. Aveva capito subito che anche lei rischiava la vita, ed era stato colto di sorpresa dalla resistenza che il suo corpo esile ed emaciato aveva opposto quando avevano provato a strapparle il fratellino dalle braccia. Niente era servito a calmarla, finché non si era addormentata, esausta. Quando si era svegliata e aveva cercato il fratello, il bambino non c’era più. E lui non avrebbe mai dimenticato l’espressione sul suo viso, nel momento in cui si era voltata e non l’aveva visto al suo fianco.
Quel caso, e il nome della bambina, erano rimasti impressi nella sua memoria e gli erano tornati in mente quasi quattordici anni prima, quando aveva letto di una giovane e coraggiosa agente di polizia che aveva rischiato la vita facendo irruzione in una stazione di servizio per soccorrere il proprietario rimasto ferito durante una rapina. Non sapeva se il malfattore fosse ancora all’interno, ma era entrata lo stesso. Così, il sessantaduenne era sopravvissuto e lei aveva ricevuto una medaglia.
Si era recato alla cerimonia di premiazione per vederla. Lei non si era presentata.
Da allora aveva seguito la sua carriera con interesse. Aveva brindato quando era entrata nel dipartimento di Investigazione criminale e aveva festeggiato le sue due promozioni. Purtroppo, non poteva rallegrarsi della sua incapacità di mantenere un posto per più di un caso o due. Una parte di lui avrebbe voluto un po’ di stabilità nella sua vita, invece Kim era rimbalzata da una stazione all’altra e da ognuna si era fatta cacciare. A eccezione di Halesowen. Quando aveva saputo di quell’ultima litigata, aveva fatto domanda per averla nel suo commissariato. Non era stato necessario chiederlo due volte, né alzare la voce, l’avevano subito accontentato.
Prese fiato, si voltò verso il sergente e aprì la bocca. «Bryant, io…».
«Perché, vede, signore…», intervenne Bryant, guardandolo negli occhi, «se è lei l’uomo in quella foto vorrebbe dire che glielo sto nascondendo, e se dovessi rimanere in questa squadra, vorrei sostenere in tutto e per tutto la detective Stone e non ritrovarmi nella condizione di conoscere qualcosa del suo passato di cui lei stessa è all’oscuro. Non sarebbe giusto, nei suoi e nei miei confronti».
Woody annuì per dimostrare che aveva capito, e prese fiato un’altra volta. «Non sono io».
«Grazie».
«C’è qualcos’altro che vuoi dirmi, Bryant?»
«No, signore. Grazie del tempo che mi ha dedicato».
L’ispettore capo Woodward rimase a osservare la porta che si richiudeva alle spalle del sergente e concluse che da quel momento in poi avrebbe dovuto dimenticare ciò che sapeva sul passato di Kim. Doveva cancellare l’immagine di quella bambina di sei anni, spaventata e vulnerabile, e sostituirla con il volto della donna indipendente che era diventata.
Non era suo padre, né suo zio o un suo amico.
Da quel momento in poi sarebbe stato una sola cosa per lei. Il suo superiore.