Capitolo 60

Dawson varcò l’ingresso del museo della Black Country, che ricordava vagamente dall’unica volta che c’era stato all’età di dieci anni.

L’atrio adesso era adibito a negozio: sulle mensole erano esposti souvenir, articoli per la casa artigianali, testi di storia locale, stampe e dipinti di artisti della zona.

Il museo a cielo aperto era stato inaugurato nel 1978 e da allora vi erano state fedelmente ricostruite più di cinquanta botteghe, abitazioni e fabbriche originariamente sparse per tutta la regione. Era stato più volte usato come set cinematografico per film e serie tv, tra cui Peaky Blinders.

Dawson non sapeva che fosse stato tanto ampliato dalla sua ultima visita. Stavolta, tuttavia, non era lì per fare il turista, bensì per incontrare un uomo di nome Arthur, che forse poteva aiutarlo. Uno dei contatti a cui aveva scritto per chiedere un parere sulla composizione chimica del chiodo gli aveva risposto che nella sua lunga carriera non ne aveva mai visti di simili: era realizzato in ferro battuto. Gli aveva consigliato di consultare uno degli esperti che lavoravano al museo; forse lui sarebbe stato in grado di dirgli dove venivano prodotti chiodi simili in zona.

Dawson era convinto che non ne avrebbe ricavato niente, ma ormai tanto valeva percorrere quella pista fino in fondo. Fu sul punto di cambiare idea quando Arthur Nugent, seduto al banco informazioni, gli tese la mano.

«Lei è l’agente di polizia che ha chiamato?», gli domandò, sfilando gli occhiali dal collo del maglioncino a quadri e posizionandoli sul naso.

«Sono il sergente Dawson».

«Bene, vediamolo!», esclamò l’uomo, impaziente.

Dawson alzò le mani. «Non ce l’ho con me».

Arthur fece una faccia delusa. «Vuole che dia un’occhiata a un chiodo e non me lo porta?».

Dawson estrasse un foglio dalla tasca. «Ho queste».

Con gli occhi incollati alla pagina, emettendo degli strani sbuffi, Arthur girò intorno al banco informazioni.

Dawson lo seguì nell’atrio tappezzato di fotografie a grandezza naturale dei magnati dell’industria locale. Era sul punto di chiedergli dove lo stesse portando quando Arthur si arrestò davanti a una vetrina bassa, con i ripiani colmi di chiodi.

«Mi dica, a quale di questi assomiglia?», gli chiese.

Dawson si passò una mano nei capelli. «Oddio, non ne ho…».

«Scusi, ragazzo, ma l’ha mai visto, almeno?».

Il sergente mise da parte l’irritazione suscitata da quell’appellativo; dopotutto, quell’uomo stava solo cercando di aiutarlo.

«Sì, l’ho visto di sfuggita».

«Va bene, guardi meglio. Sono tutti diversi fra loro».

Agli occhi di Dawson, un chiodo era un chiodo. Andavi al negozio di ferramenta, ne compravi una scatola e li usavi per attaccare oggetti alle pareti. A lui interessava solo sapere da quale negozio poteva provenire. Decise di assecondarlo e guardò la vetrina con più attenzione, ripensando ai chiodi che aveva visto sulla scena del delitto.

Arthur, nel frattempo, parlava. «I primi chiodi sono stati fabbricati nell’Antico Egitto, nel 3400 a.C. addirittura. Si fidi, non sono tutti uguali».

Osservando meglio, il sergente si accorse che Arthur non aveva tutti i torti.

«Quello», esclamò, accostando il dito al vetro. «Oppure quello accanto».

«Be’, si decida… Ah, sì, sono abbastanza simili. Quei due, ragazzo, non sono chiodi prodotti in serie come quelli odierni. Anzi, non sono neanche di questo secolo, né del precedente o di quello prima ancora».

«Vada avanti», rispose Dawson, incuriosito.

«Quei chiodi sono stati forgiati a mano, com’era uso comune fino all’inizio del XIX secolo. Vede quei segni sul gambo?».

Dawson annuì. Si ricordò di averli visti anche sui chiodi usati dall’assassino.

«Sono i segni lasciati dai tagliatori. Già alla fine del XVI secolo, questi fabbri specializzati tagliavano le verghe d’acciaio in pezzi di piccole dimensioni, che poi i chiodai lavoravano. Con il tempo i tagliatori sono andati scomparendo, sostituiti dai macchinari azionati ad acqua».

«Quindi mi sta dicendo che potrebbe risalire al XVI secolo?»

«A quanto pare, sì».

Dawson lo ringraziò per il tempo che gli aveva dedicato e se ne andò.

Adesso aveva in mano una prova inconfutabile che dimostrava il legame tra i due omicidi.