Capitolo 19

Quando lasciarono la casa di Luke Fenton, nella mente di Kim si affollavano mille domande. C’era qualcosa a proposito di quell’uomo che le provocava una strana sensazione allo stomaco. Non avevano trovato altre prove che confermassero la presenza di una bambina in casa: niente giochi, vestiti, lenzuola o coperte. Solo il letto e la felpa. Le uniche informazioni che avevano ottenuto erano che si spostava in bicicletta e stava cercando un’auto. Sperava che Stacey, alla stazione di polizia, avesse avuto più fortuna.

«Fermati», esclamò all’improvviso.

Bryant arrestò l’auto in mezzo alla strada, irritando non poco il conducente della macchina dietro di loro.

«Cosa, dove…?»

«Volevo dire accosta!», disse Kim.

«Accidenti, capo, sembrava che stessi per investire un bambino. Cosa hai visto?»

«Quel posto laggiù», rispose lei, indicando una vetrina illuminata.

Lui seguì la direzione indicata dal suo dito. «Hai voglia di cibo cinese?»

«Magari più tardi», ribatté Kim.

Bryant spense il motore.

«Sarà meglio che tu rimanga in macchina, visto che ti sei fermato in doppia fila».

Scese e si diresse verso il ristorante che preparava anche piatti da asporto e aveva due belle vetrine.

Quando aprì la porta e fu investita dal profumo di aglio e zenzero, si ricordò che quel giorno aveva mangiato poco o nulla.

Accettava il fatto di avere un rapporto complicato con il cibo. Non era che non volesse mangiare o che non le piacessero alcuni cibi, era solo che tendeva a dimenticare che i pasti erano un momento fondamentale della giornata.

Si avvicinò al banco del takeaway deserto e lanciò un’occhiata nella sala del ristorante. Nell’angolo in fondo era seduta una coppia, ma Kim immaginava che le cinque di pomeriggio non fossero esattamente l’ora di punta. Probabilmente i clienti sarebbero arrivati verso le sette per la cena e poi alle dieci e mezzo, alla chiusura dei pub.

Da una porta spuntò una donna magra, cinese.

Le sorrise. «Mangia qui o…?»

«Non mangio, grazie. Volevo chiederle se conosce un uomo di nome Luke Fenton».

La donna si strinse nelle spalle, con un’espressione confusa sul viso.

Il buon senso le diceva che Fenton avrebbe potuto frequentare un ristorante cinese nei pressi di casa sua, visto che non possedeva un’auto, e quello era il primo che avevano incontrato. L’ultimo pasto che aveva consumato era stato proprio a base di spaghetti con manzo.

«Alto come me, all’incirca, magro, capelli biondi, poco meno di trent’anni… è stato qui ieri sera?».

Lei fece spallucce. «Domenica, tanta gente».

Kim prese il cellulare. Scorse la galleria in cerca di una foto in cui l’uomo sembrasse meno morto.

Ruotò lo schermo verso la donna. «È lui».

Lei parve riconoscerlo all’istante, così Kim recuperò subito il telefono per impedirle di vedere troppo.

«Ah, lui. Lui non è bravo. Una volta ci ha fregato e da allora lo facciamo pagare in anticipo».

«E ieri sera ha mangiato qui?», domandò Kim.

Lei annuì.

«Era da solo?»

«Sì, viene sempre da solo. Solo quando prende da mangiare da asporto ordina per più persone».

Kim registrò l’informazione.

«Ha idea dell’ora a cui se n’è andato?»

«Nove e mezzo», rispose lei senza indugio.

«È sicura?»

«Lui non è bravo. Ero contenta che andava via».

«Va bene, ha notato qualcosa di strano nel suo comportamento, di diverso dal solito?»

«Sì, è corso fuori e non ha neanche finito di mangiare».