Capitolo 3

Il sergente Bryant lanciò un’occhiata allo specchio. Si trovò davanti il suo abituale completo scuro, la cravatta celeste e la camicia bianca. Solo il giorno prima, sua moglie Jenny gli aveva detto che iniziava a ricordarle Bradley Walsh, il tizio che presentava il quiz The Chase in televisione.

Lui si era risentito, finché Jenny non gli aveva detto con una strizzatina d’occhio che a lei Bradley Walsh piaceva. Lì per lì non aveva saputo come prenderla, ma lei era riuscita a convincerlo che aveva occhi solo per lui. E, dopo quasi un quarto di secolo passato insieme, Bryant le credeva.

Si sfilò la cravatta. Quel maledetto affare si rifiutava di farsi annodare nel modo giusto.

«Andava bene», disse Jenny, facendolo trasalire. Non si era accorto che si era svegliata ed era seduta sul letto, da dove lo guardava con le ginocchia strette al petto. «E andavano bene anche i tre nodi precedenti. Che ti prende?»

«Ah, è solo il nuovo capo, tutto qui», rispose lui, facendo passare la cravatta sotto il colletto per l’ennesima volta.

«L’hai mai incontrata?», domandò Jenny.

Lui scosse la testa.

«Non sarà perché è una…».

Lui distolse lo sguardo dallo specchio prima ancora che la moglie terminasse la frase e le lanciò un’occhiataccia. «Me lo stai chiedendo sul serio?».

Lei tirò fuori la lingua per mostrargli che stava scherzando, e lui si voltò di nuovo verso lo specchio.

«Mi è già capitato di lavorare per delle donne e anche per persone più giovani di me. Lei è entrambe le cose. Non mi preoccupa minimamente».

Sia come agente di polizia che come sergente, aveva visto con i propri occhi le orribili sofferenze che l’uomo poteva infliggere ai suoi simili. Comprendeva le strategie di difesa messe in atto da alcuni suoi colleghi: alcol, droghe, adulterio o, in certi casi, tutt’e tre. Qualsiasi cosa andava bene pur di togliersi dalla mente le immagini che li ossessionavano. Si rendeva conto che il bisogno di una stampella derivava dalla mancanza di equilibrio. Ogni scena del crimine era terrificante, ogni volta c’era una vittima: familiari, dolore, disperazione, rabbia, odio, morte… Solo casi negativi. Non capitava facilmente di venire chiamati a indagare su una storia a lieto fine. Gli ricordava il telefono amico: nessuno chiamava per raccontare di avere trascorso una giornata stupenda.

La sua stampella erano state trenta sigarette al giorno. Le situazioni di stress erano sempre accompagnate da varie dosi di nicotina che lo aiutavano a rilassarsi e a tornare alla normalità. Sapeva che le sigarette in realtà non lo tranquillizzavano affatto, si limitavano ad anestetizzare i muscoli in risposta ai veleni che stava ingerendo, ma finché l’aveva fatto gli era piaciuto. Fino al giorno in cui, all’ennesima infezione alle vie respiratorie, il dottore gli aveva detto che correva il rischio di accorciare la sua vita di dieci o quindici anni se non avesse smesso.

Il pensiero di perdersi quegli anni della vita di sua figlia, che aveva diciannove anni, l’aveva spinto a comprare tutti i cerotti e i chewing gum alla nicotina reperibili in commercio. L’improvvisa infezione polmonare che l’aveva costretto a letto per tre settimane gli aveva dimostrato che i suoi polmoni erano in pessimo stato. Alla fine era tornato al lavoro con l’aiuto delle Halls Mentho-Lyptus extra-forti e da allora non era ancora riuscito a smettere. Ma erano quasi due anni che non toccava una sigaretta e tutto sommato pensava di poter convivere con la dipendenza dalle caramelle.

Da quando aveva smesso, tuttavia, si era sforzato di non mettersi volontariamente nelle situazioni di stress che avrebbero potuto spingerlo a ricominciare.

Recarsi sulle scene del crimine e interrogare i testimoni era inevitabile, ma con i colleghi tentava di mantenere delle relazioni serene, piacevoli e prive di conflitti.

E da quello che aveva sentito sul suo nuovo capo, stavolta probabilmente sarebbe stato quasi impossibile.

«Be’, che ti hanno raccontato?», chiese Jenny, come se avesse seguito il filo dei suoi pensieri fino a quel punto.

Il fatto che sapesse sempre ciò che stava pensando era una delle tante cose che amava di lei. Così come la caparbietà con cui lo costringeva a dare voce a quei pensieri e a non tenerli stipati dentro la testa.

«Che è difficile, arrogante, maleducata e odia lavorare troppo a lungo con le stesse persone».

«Be’, se è davvero così, forse è un bene che le venga voglia di cambiare ambiente».

«Se?», domandò lui.

«Ovvio. Non hai mai lavorato con lei, quindi non puoi sapere se le voci sul suo conto sono vere. Ti ricordi quando siamo andati…».

«A Marbella?», esclamò lui, terminando la frase al suo posto. «Sì, me lo ricordo. Bill e Helen ci avevano detto che era un posto orribile e avevano elencato tutti i motivi per cui l’avevano odiato, facendoci rimpiangere di aver prenotato quella maledetta vacanza. Invece siamo arrivati lì e l’abbiamo adorata».

«Sono così prevedibile?», domandò lei, stropicciandosi gli occhi assonnati.

«No, ma è l’esempio che mi fai ogni volta che vuoi convincermi a non prendere per oro colato le opinioni degli altri».

«Allora il mio lavoro è concluso», disse lei, spolverandosi le mani e scendendo dal letto.

Si fermò davanti al marito e gli raddrizzò la cravatta. Lui non si trattenne e si chinò per darle un bacio sulla testa.

«E dicono sia bellissima», aggiunse. «A quanto pare è molto attraente».

Jenny si strinse nelle spalle e diede l’ultimo ritocco al nodo della cravatta. «Ecco qui. Perfetto».

«Non ti senti minacciata neanche un po’, vero?», le chiese.

Lei scosse il capo e gli sorrise.

«Ti amo», esclamò lui. Ed era la verità.

«È per questo che non mi sento minacciata», concluse lei, allontanandosi e dandogli uno schiaffetto sul posteriore. Si fermò sulla soglia del bagno. «Quindi va tutto bene adesso? C’è qualcos’altro che ti preoccupa? Non ha niente a che vedere con quell’altra faccenda?», gli domandò.

Lui scosse il capo e sentì la tensione serrargli la mascella.

In quel momento non voleva neanche pensare all’altra faccenda.