Capitolo 105

«Rallenta, Dawson, Cristo!», esclamò Stacey, reggendosi con una mano alla portiera e con l’altra alla base del sedile. Considerato che l’idea di iscriversi alla scuola guida l’aveva sempre terrorizzata, quell’esperienza non l’avrebbe certo convinta a farlo.

«Andiamo, non dirmi che questa situazione non ti esalta. Se è così, allora hai sbagliato mestiere», commentò il sergente imboccando un tornante a cento all’ora.

«Hai dimenticato che c’è in ballo la vita di un uomo?», chiese lei.

«E noi stiamo cercando di salvarla», ribatté Dawson, affrontando un’altra curva in velocità.

Perché diavolo aveva accettato di andare con lui quando se ne sarebbe potuta rimanere al sicuro in ufficio a seguire e coordinare le operazioni? Erano quasi le undici e ormai confondeva gli eventi di quel giorno con quelli del precedente. Anzi, era come se l’intera settimana fosse stata un unico turno senza fine.

Se gli avesse risposto sinceramente, gli avrebbe detto che quello era uno dei momenti più belli della sua vita, ma preferì tenerlo per sé. Gioire di quella situazione era immorale, da parte di entrambi. Erano morte delle persone.

Un’ultima curva e Dawson rallentò, imboccando Cedar Close.

«Quanto ci scommetti che è la sua auto?», esclamò l’agente, accostando dietro una Range Rover grigia a qualche piazzola di distanza dall’indirizzo che il call-center aveva fornito al dottor Lambert.

«Adesso che facciamo?», domandò lei.

Dawson spense il motore e rifletté per un istante. «Bussiamo alla porta».

«Dawson, lo sai che ore sono?»

«Le luci sono ancora accese».

Anche Stacey aveva notato il bagliore intermittente blu ghiaccio delle luci di Natale dietro le tende. Ma questo non bastava a giustificare lo spavento che avrebbero fatto prendere agli abitanti della casa. Quando qualcuno bussa alla tua porta di notte, di certo non porta buone notizie. «A qualcuno potrebbe venire un infarto sentendo il campanello a quest’ora».

«Non credi che il capo vorrebbe saperlo, se il dottor Lambert fosse davvero in quella casa a visitare un paziente malato?».

Stacey aprì la bocca per ribattere, ma quell’osservazione non faceva una piega.

«Accidenti, Stacey, comportati da uomo! Cioè, da donna, insomma. Tu vai a controllare la macchina, vedi se le portiere sono aperte, e io nel frattempo vado a bussare».

Stacey scese dall’auto e si avvicinò al veicolo. Il cuore le martellava nel petto e aveva la spiacevole sensazione che la polizia sarebbe arrivata da un momento all’altro per coglierla con le mani nel sacco. Se qualcuno avesse lanciato un’occhiata in strada prima di chiudere le tende della camera da letto, il suo comportamento avrebbe destato dei sospetti.

Seguì Dawson con lo sguardo. Il sergente bussò piano alla porta. Dopo qualche secondo andò ad aprire un uomo barbuto, che rispetto a Dawson sembrava un gigante. La peluria sul volto non bastava a mascherare l’espressione infastidita.

«Mi dispiace disturbarla a quest’ora…».

«Sarà meglio che abbia una motivazione valida…».

«Signore, stasera ha richiesto la visita di un medico a questo indirizzo?», disse Dawson, con un tono educato che lei non gli aveva mai sentito prima.

Stacey si rannicchiò contro la fiancata dell’auto, poi fece un balzo all’indietro per paura che scattasse l’allarme.

«Di che cazzo stai parlando?»

«Grazie. Volevamo solo sapere questo. Quella è la sua macchina?», gli domandò, indicando nella sua direzione.

L’uomo guardò sopra la sua spalla. «Magari. E adesso levati di torno».

«Grazie ancora», rispose Dawson, allontanandosi dalla porta che un secondo dopo gli venne chiusa in faccia.

«Niente, Stacey?», domandò.

L’agente raggiunse il lato del conducente e afferrò la maniglia. Ma non appena toccò il metallo ritrasse la mano, sentendo qualcosa di freddo e appiccicoso sulle dita.

«Dawson», esclamò, mostrandogli il palmo aperto.

Lui prese il telefono e lo illuminò.

Non c’era dubbio.

La mano di Stacey era coperta di sangue.