Capitolo 33

Kim aveva collaborato con Jerry in passato e sapeva che durante la sua carriera di agente di polizia non aveva mai ammazzato nessuno. Undici anni prima aveva subìto un incidente durante una sommossa: l’avevano spinto, era caduto ed era stato calpestato da un cavallo. Gli avevano inserito alcune placche di metallo e delle viti nella gamba sinistra, e adesso era costretto a usare una stampella per spostarsi. Data l’attitudine dimostrata, la polizia lo aveva formato come tecnico nel campo della scienza digitale forense.

«Cosa hai trovato, Jerry?», gli chiese, prendendo una sedia da una scrivania libera. Bryant rimase in piedi alle sue spalle.

«Qualcosa che non ti piacerà», rispose lui, posizionando il portatile davanti al suo computer e aprendolo.

«C’è da dire che questo tizio sa come nascondere la roba. Non entro nei dettagli per non annoiarvi, ma non credo di aver scovato tutto. Diciamo che quello che ho è sufficiente a darvi un’idea di che tipo di uomo era».

Kim notò la sua mascella serrata. Sentì una stretta allo stomaco. Jerry faceva quel lavoro da tanti anni. A quanto pareva, Luke Fenton aveva dei buoni motivi per nascondere il computer sotto il forno.

«Vai avanti», lo incoraggiò Kim.

«Foto, detective. Foto indecenti di bambine tra i sei e i dodici anni». Guardò il suo taccuino. «Finora ho trovato più di dodicimila foto acquisite negli ultimi tredici anni. Metà di esse sono state trasferite da un hard disk esterno».

Quando ha comprato il computer nuovo, dedusse Kim in preda a un senso di nausea.

«Le ha nascoste in tutto il computer, soprattutto nei file di sistema, e l’ultima mandata è stata scaricata solo due settimane fa. Ovviamente cercheremo di sfruttare queste informazioni per chiudere i siti da cui provengono, ma sappiamo bene che nel giro di qualche giorno li riapriranno».

Quello che Jerry aveva detto era già abbastanza grave, ma Kim voleva sapere di più.

«Hai trovato dei video o delle fotografie che facciano pensare che abbia abusato attivamente di bambini?».

Alcuni di quei bastardi malati non si limitavano a guardare.

«Non proprio, ma…».

«Avrei preferito un no secco», commentò Kim, pensando alla felpa che aveva trovato sotto il suo cuscino.

«Be’, è saltata fuori una cartella diversa dalle altre. Tutte le foto che ho localizzato provengono da vari tipi di fonti, si va da immagini innocenti postate da genitori orgogliosi a siti pedopornografici sparsi nei server di tutto il mondo. Il nostro uomo non le ha archiviate seguendo un ordine logico particolare, da quanto ho visto, a eccezione di queste».

«Continua», disse Kim, sedendosi in punta alla sedia.

Jerry cercò un’icona sul desktop e cliccò due volte per aprire la cartella. Conteneva le immagini di una bambina ritratta in varie situazioni: nella vasca da bagno, mentre giocava, al parco, in pigiama, con la vestaglia indosso.

«È sempre la stessa bambina», osservò Kim.

«Esatto. A noi sembrano foto innocenti, a differenza delle altre. Tuttavia, per un pedofilo sono immagini di una bambina seminuda, dunque non hanno niente di innocente».

«Bastardo», mormorò Bryant alle loro spalle.

«Ma la cosa più strana è che le foto in questa cartella sono state scattate con la stessa macchina fotografica e scaricate direttamente da lì sul computer. Parlo del primo gruppo».

«Come?», chiese Kim, che non capiva dove volesse arrivare.

«Ecco, la prima foto risale a un anno fa. Si vede la bambina in un parco. Altre coprono un periodo di circa quattro mesi, poi si interrompono a maggio, giugno e luglio e ricominciano da agosto fino a novembre, quando è stata scattata l’ultima foto».

Scorse il contenuto della cartella fino alla fine.

«Perché quella pausa?», domandò Kim.

«Non lo so, ma questa è l’ultima immagine che ha scattato».

Kim inspirò a fondo; non rimase sorpresa nel vedere la bambina con indosso una felpa con il cappuccio rosa e una scritta di paillette.

Quella bambina era stata a casa sua.