Capitolo 39
Dawson dovette sforzarsi di mascherare la sua avversione nei confronti dell’obitorio. Non aveva paura che i morti tornassero in vita, ovviamente, né lo considerava un luogo pericoloso. Assistere a un’autopsia non gli creava alcun problema. Non gli davano fastidio gli strumenti, né i rumori; gliene dava la vista della carne che pendeva molle dalle ossa.
Scacciò quel pensiero dalla mente quando scorse una donna con la divisa del supermercato Asda e un’espressione pensosa sul viso.
«Lisa Bywater?», chiese, tendendo la mano.
Lei annuì e, più che stringerla, la sfiorò.
Dawson si presentò e le mostrò il distintivo.
L’espressione della donna fu attraversata da un guizzo d’impazienza. «Bene, possiamo fare alla svelta, così mi tolgo il pensiero?».
Lui confermò con un cenno del capo e le fece strada. Di rado gli era capitato di conoscere dei parenti che non vedevano l’ora di varcare la soglia dell’obitorio.
«Vorrei solamente dirle che mi dispiace molto per la sua…».
«Non si dispiaccia», ribatté lei, in un tono freddo e privo di emozione.
E lui che aveva sprecato tempo a partecipare a quel corso sull’empatia.
Per fortuna, in quell’occasione non si sarebbe dovuto addentrare nell’obitorio. Avevano messo a disposizione una saletta privata a cui si accedeva direttamente dall’atrio.
A un tratto, Keats fece capolino sulla soglia e li invitò a entrare.
Il sergente condusse la ragazza nella piccola stanza, che aveva le pareti bianche e sgombre.
Una volta entrati, le indicò la porta che avevano davanti.
«Il medico legale farà entrare suo fratello da quella porta e aspetterà che lei gli dia il permesso di scoprirgli il volto. Lei dovrebbe solamente confermare che si tratta di suo fratello, Luke…».
«So come si chiama», ribatté lei, e in quel momento la porta si aprì.
Un brivido percorse il corpo della donna.
Dietro alla sua spavalderia, si nascondeva una parte di lei che non provava alcun piacere in quel momento e non riusciva a rimanere indifferente.
Keats entrò e spinse il carrello al centro della stanza.
Sotto lo sguardo attento di Dawson, la donna rimase a fissare almeno per un minuto la sagoma coperta dal lenzuolo. Alla fine, rivolse un cenno a Keats.
Lui afferrò un lembo del lenzuolo e iniziò a scostarlo.
Lisa si era portata una mano alla gola, le sue dita tremavano.
Forse se ne accorse e abbassò il braccio lungo il fianco, come se non volesse far trapelare le proprie emozioni.
Anche Dawson trattenne il fiato, sperando che Keats non scendesse al di sotto del mento.
E invece lo fece.
Gli occhi di Lisa Bywater si riempirono di lacrime, dando a Dawson la risposta che cercava, ma lui aveva comunque bisogno di una dichiarazione verbale.
«Signora Bywater, si tratta di suo fratello, Luke Fenton?».
Lei annuì.
«Signora Bywater, ho…».
«Sì, è lui», confermò, mentre le lacrime le rigavano le guance.
«Va bene, grazie, era l’unica cosa di cui avevamo bisogno…».
«Solo un minuto», rispose la donna, visibilmente emozionata.
Dawson fece un passo indietro. Accadeva che i parenti volessero imprimersi nella memoria il volto dei loro cari, per paura di dimenticarlo. Altri volevano scambiare un ultimo, muto arrivederci.
Lisa Bywater, invece, alzò la mano destra e assestò un pugno in faccia a suo fratello.