Capitolo 54

Marianne attese che la stampante sputasse fuori l’ultima pagina prima di aprire la porta.

«Jay, quando arriva Carl digli di venire nel mio ufficio!», esclamò affacciata nell’atrio, per poi tornare dentro.

Piegò il foglio e chiuse la busta posata sulla sua scrivania.

Non erano ancora le sette e mezzo e aveva già smistato le e-mail del giorno precedente, ideato una nuova campagna di raccolta fondi da inoltrare per posta elettronica a tutti i suoi benefattori e scritto la consueta newsletter di Natale che avrebbe inviato a tutte le strutture.

La gente rimaneva sbalordita dalla sua energia. Tra i dipendenti circolava il soprannome “il Tornado”, e a lei non dispiaceva. Sapevano che tutto quello che faceva era animato dalla passione e dalla volontà di proteggere le donne e i bambini che si rivolgevano a lei in cerca d’aiuto.

La maggior parte delle sue ospiti, all’arrivo, non era altro che una pallida ombra di sé stessa, dal punto di vista sia fisico che psicologico. Altre avevano subìto abusi sessuali in età infantile, e ancora non avevano superato quel trauma. Solo il mese prima aveva accolto una ragioniera di ventisette anni che aveva riacquistato da poco la memoria degli abusi subiti dal patrigno. Una donna indipendente, intelligente, equilibrata, che conduceva una vita affascinante, a cui il mondo era all’improvviso crollato addosso. Alcune donne, infine, andavano da lei perché i loro figli erano stati vittime di violenza e avevano bisogno di un posto sicuro in cui stare.

Marianne era orgogliosa dei traguardi che aveva raggiunto, del gran numero di donne che aveva aiutato. Delle esistenze che aveva rammendato. E l’unica cosa che chiedeva in cambio era che si impegnassero a utilizzare gli strumenti che aveva dato loro per cominciare una nuova vita.

“Sono disposta a tutto per le mie ragazze”, stava pensando, quando udì un colpo secco alla porta.

«Entra, Carl», esclamò.

L’uomo entrò nell’ufficio e richiuse la porta.

Marianne alzò il mento a indicare la busta sulla scrivania. «Ho un altro nome per te».

Lui fissò il contenitore di carta. «Marianne, credi che sia una buona idea continuare?».

Lei aggrottò la fronte. «Non credi in quello che stiamo facendo?».

Lui si strinse nelle spalle. «Sai, la polizia è venuta a fare domande. Non impiegherà molto a…».

«Andrà tutto bene, Carl. Te lo prometto», rispose lei, sorpresa dell’espressione seria che gli scorgeva sul volto. Da quando la detective era uscita dalla porta, lei non l’aveva più degnata di un pensiero. «Ma non possiamo fermarci adesso. Dobbiamo sostenere queste donne. Ormai ci siamo dentro». Tacque. «Siamo sulla stessa barca. Lo capisci questo?».

Dopo un attimo di esitazione, l’uomo annuì.

«Bene», esclamò Marianne, spingendo la busta verso di lui. «Qui dentro c’è tutto quello che ti serve. Sai cosa devi fare».