Capitolo 27

Mentre scendevano le scale Bryant rimase zitto, e fu una fortuna, perché dopo la conversazione ridicola che aveva avuto con Woody, Kim non era in vena di chiacchiere. Non appena si ritrovò fuori nel freddo pungente del mattino, si scontrò con una donna dai lunghi capelli biondi, con un tailleur pantaloni e un paio di tacchi vertiginosi.

Stringeva tra le mani un taccuino, come se contenesse la sua vita.

«È lei la detective che si sta occupando del caso dell’uomo nudo?», le chiese, bloccandole la strada.

Non sortì alcun effetto. Lo spazio personale di Kim era protetto da allarmi, sensori di movimento e filo spinato.

«Si levi da…».

«È vero che il corpo è stato mutilato?».

Kim la ignorò e tentò di girarle intorno.

«È vero che…?»

«Contatti l’addetto stampa», tagliò corto Kim, provando ad aggirarla una seconda volta.

«Può darmi un nome?»

«Tremotino, e lui è…».

«Della vittima, intendo», precisò la donna.

«Se lo scordi», rispose Kim, scrollando la testa e procedendo a zig-zag per schivarla. «Dopo che mi sono rifiutata di rispondere alle prime due domande, cosa le fa pensare che glielo direi?»

«Devo concludere che lei è la detective Stone», esclamò la donna, porgendole la mano. «Tracy Frost del “Dudley Star”».

Kim abbassò lo sguardo sulla mano tesa. «Il piacere è tutto suo».

«Senta, detective, noi…».

«Detective ispettore», la corresse.

«Va bene, detective ispettore. Voglio che lei sappia che posso esserle di grande aiuto. Posso scrivere la sua versione dei fatti».

«Oh, si levi di torno», esclamò Kim, dirigendosi a passo deciso verso l’Opel Astra di Bryant. Non esisteva nessuna versione dei fatti. Esisteva soltanto la verità.

La donna continuò a seguirla.

A un tratto, nella mente di Kim affiorò un ricordo. Rallentò. «Aspetti. Io mi ricordo di lei. Non è quella che aveva scritto il pezzo sul suicidio della quattordicenne di Tipton?».

La faccia della giornalista sbiancò.

Kim proseguì. «La ragazzina che veniva bullizzata sui social per il suo peso. Era presente all’inchiesta e ha scritto un articolo molto lungo senza risparmiare ai lettori i dettagli raccapriccianti sul modo in cui si era uccisa, ignorando le linee guida dei Samaritani».

Kim sapeva che esisteva un nesso, rilevato da alcune ricerche scientifiche, tra la copertura mediatica dei suicidi e l’aumento di tali comportamenti. A partire da quei dati i Samaritani avevano stilato un vero e proprio decalogo per i giornalisti, che comprendeva queste regole: evitare di entrare nei dettagli, astenersi da descrizioni melodrammatiche del momento del suicidio e dei giorni successivi, privilegiare uno stile cauto e privo di sensazionalismi. E quella donna aveva fatto esattamente il contrario.

«E cos’è successo?», proseguì Kim. «Se ricordo bene, quando è uscito il suo articolo, il giorno stesso, una quindicenne ha provato a imitare la ragazzina di cui parlava il giornale. Per fortuna non ci è riuscita».

«Il mio pezzo parlava di bullismo e delle conseguenze…».

«Era stato scritto per vendere, Frost, non finga che non sia vero. Quello che posso dirle, anche se non me l’ha chiesto espressamente, è che nessuno ha una grande opinione di lei al dipartimento di polizia delle West Midlands».

I lineamenti di Tracy Frost si irrigidirono. Kim capì che per la giornalista equivaleva a una dichiarazione di guerra.

«Be’, a giudicare da quello che si dice in giro, la sua popolarità non è messa meglio».

Kim posò la mano sulla maniglia della portiera e le rivolse il primo sorriso sincero. «Peccato che non me ne possa fregare di meno».

Aprì e salì in auto, mentre la donna tornava sui suoi passi traballando sui tacchi troppo alti.

«Bene, questo incontro mi ha svegliato», esclamò la detective, in attesa che Bryant accendesse il motore.

Lui stava guardando dritto davanti a sé.

«Cosa stiamo aspettando?», gli domandò. Dallo specchietto vide la giornalista salire su una Audi bianca: si sarebbe ricordata di quell’auto.

«Volevo dirti, capo, che non devi prendere le mie difese».

Ah, ci era rimasto male per quello che aveva detto a Dawson.

«Non ho preso le difese di nessuno. Ti ho solo fornito delle informazioni che probabilmente non avevi a portata di mano».

«E tu le avevi?»

«Strano ma vero», rispose lei allacciandosi la cintura, per quanto la guida sin troppo prudente di Bryant lo rendesse superfluo.

La sera prima si era presa il tempo di fare qualche ricerca su ognuno di loro. Aveva scoperto, per esempio, che Bryant era stato segnalato per la promozione da due diversi ispettori che lo consideravano molto bravo, ma in entrambi i casi non aveva superato l’esame.

Dawson aveva ragione, a proposito delle statistiche. Era improbabile che Bryant ce la facesse, ma non le era piaciuto il modo in cui il giovane sergente gliel’aveva sbattuto in faccia.

«Va bene, qualunque fosse la tua intenzione, la prossima volta evitalo, per favore. Posso affrontare Dawson da solo».

«Ricevuto», rispose lei. «E adesso, potresti accendere questa maledetta macchina?».

Kim si sporse dal finestrino per guardare la Audi che usciva dal parcheggio.

Bene, era già riuscita a far arrabbiare due terzi della sua squadra e l’inviata del giornale locale, e non erano ancora le nove di mattina.

Forse aveva stabilito un nuovo record.

Notevole, persino per lei.