Capitolo 67
Mentre ascoltava Stacey, Kim fu pervasa dal sollievo. «Quindi mi stai dicendo che Hayley ha affidato volontariamente Mia alle cure dello Stato l’ultima volta che è andata in carcere?»
«È quello che risulta dai documenti. Non aveva nessuno a cui lasciarla. Nel complesso, Mia è stata presa in carico dai servizi sociali tre volte».
«Ma Hayley era uscita già da un mese. Perché non è andata a riprenderla?», chiese Kim.
«Non so quanto sia semplice entrare e uscire da questo genere di strutture, capo», spiegò Stacey. «Forse i servizi sociali non le hanno permesso di portarla via finché non avesse dimostrato di essere tornata in carreggiata».
«E quell’agente?»
«Era presente durante il trasferimento di Mia da una delle famiglie affidatarie. Avevano delle preoccupazioni legate alla sua sicurezza, così hanno richiesto un agente che accompagnasse l’assistente sociale».
«Quindi hai…».
«L’indirizzo della famiglia affidataria davanti ai miei occhi».
«Stacey, accidenti, un ottimo…».
«A dire la verità, capo, è stato lui a venire da me, ma più tardi spero di darti qualche altra buona notizia».
Intelligente e umile. A Kim piaceva quella combinazione. Chiuse la conversazione e controllò l’orologio.
Aspettò di ricevere il messaggio che conteneva l’indirizzo della famiglia affidataria di Mia. Lo lesse a Bryant, dopodiché fece scorrere la lista dei contatti.
Il sergente rispose al secondo squillo.
«Dawson, che hai scoperto?»
«Capo, sto facendo delle ricerche sul luogo del ritrovamento del cadavere di Lester Jackson. Dunque, i chiodi utilizzati per il primo delitto…».
«Erano vecchi, composti perlopiù da ferro battuto e probabilmente provenivano da un posto simile a Redland Hall?».
Silenzio.
Kim continuò. «Così diceva il rapporto che mi hanno inviato dal laboratorio circa un’ora fa». Gli lasciò qualche secondo per elaborare l’informazione. «Lascia fare agli altri il loro lavoro e smettila di gareggiare per la medaglia d’oro. Io non do premi. Hai trovato un collegamento tra Luke Fenton e le altre vittime?»
«Ancora niente, capo, ma ci sto lavorando».
Kim si chiese quanto tempo avesse dedicato all’incarico che gli aveva assegnato e quanto alla pista che aveva deciso di seguire da solo. «Interrompi quello che stai facendo e fatti trovare all’obitorio per le quattro. L’autopsia di Hayley è fissata per quell’ora e noi non riusciamo ad arrivare in tempo». Prima che Dawson potesse protestare, Kim chiuse la conversazione.
«Sei sicura di volerlo fare?», le chiese Bryant. «Non sono certo che l’ispettore capo Woodward… Oddio, non riesco più a chiamarlo con il suo cognome».
«Ti capisco, anche per me ormai è Woody. Comunque sono sicura che riceverò una lavata di capo alle sei: perché non optare per la formula “due al prezzo di una”?».
Nell’abitacolo calò il silenzio.
«Capo, era ironico?».
Kim ripensò all’ultima battuta di Bryant. «Vedi, Bryant, siccome saremo costretti a passare tanto tempo insieme in quest’auto, dovrai abituarti al mio senso dell’umorismo, e io al tuo. E per rispondere alla tua prima domanda, sì, credo che tentare di parlare con Mia sia una buona idea, perché potrebbe rivelarci un bel po’ di cose che non sappiamo».
«E credi che i genitori affidatari ce lo permetteranno?».
Kim fu sorpresa da quella domanda. «Per aiutarci a catturare un assassino, vorrei ben sperare di sì».
«Mmm… tu non hai figli, vero, capo?»
«Non capisco cosa…».
«Non importa», tagliò corto lui, varcando il cancello del villaggio Caledonia di Brierley Hill. Seguì la strada fino alla fine, rallentando davanti ad alcune villette bifamiliari.
«È quella con l’abbaino», esclamò, fermandosi poco distante.
Sul lato sinistro del vialetto era parcheggiata una Ford Fiesta, accostata di lato in modo da lasciare spazio a una seconda vettura.
Kim ripensò alla casa che avevano visitato poco prima e al poco che sapevano della vita di Hayley. Fino a quel giorno, la piccola Mia non aveva conosciuto la stabilità, le confortanti abitudini. E adesso sua madre era morta. Quante batoste per i suoi pochi anni.
La porta si aprì ancor prima che bussassero.
A un angolo della casa era fissata una videocamera, piccola e discreta. Doveva trattarsi di un’aggiunta recente, a giudicare dal mucchietto di intonaco visibile ai piedi del muro.
La donna sulla soglia era alta all’incirca un metro e sessanta, aveva le lentiggini e una folta chioma indomabile di ricci rossi.
Kim le mostrò il distintivo e fece le presentazioni. «Possiamo entrare?».
L’espressione sospettosa della donna non mutò e i suoi piedi non si mossero di un centimetro.
«Signora Roberts, è una questione che riguarda Mia e sua madre».
A quelle parole la donna si fece da parte, non senza esitazione.
Kim si ritrovò nell’ingresso disseminato di cappotti, scarpe, stivali di gomma in tutte le sfumature del rosa. Di tre misure differenti, notò la detective.
«Passate, prego», disse la padrona di casa, conducendoli in una veranda chiusa sul retro.
Sul tavolino, una tazza di caffè e una rivista di enigmistica.
«Mi stavo concedendo un po’ di tempo per me prima di andare a prendere le bambine».
«Quante figlie ha?», le domandò Kim.
«Tre, considerando anche Mia», rispose lei, prendendo posto su una poltroncina di vimini.
Kim e Bryant si sedettero sul divanetto di fronte, rivolto verso il giardino, che pur non essendo enorme poteva vantare una piccola zona lastricata, un prato quadrato, uno scivolo, un tappeto elastico e una bella casetta di legno per l’estate.
A Kim piacque il fatto che la donna avesse incluso Mia nella conta delle sue figlie.
«Purtroppo vengo a portarle una brutta notizia, che la prego di non diffondere».
«Va bene», disse lei, sedendosi in punta alla poltroncina.
«Hayley Smart è morta».
La donna si portò una mano alla bocca, tonda e spalancata come i suoi occhi.
«Oddio, come? Dove? Siete sicuri?».
Kim annuì. «Temiamo di sì. Non posso divulgare i particolari, ma è stata assassinata ieri sera».
La donna scosse mestamente il capo e si portò una ciocca ribelle dietro l’orecchio; Kim notò il tremore della sua mano.
«Ci piacerebbe molto parlare con Mia se…».
«Assolutamente no», esclamò lei, irrigidendosi. «Quella bambina ne ha passate anche troppe. Le darò io la notizia, non vi permetterò di avvicinarvi a lei».
Al contrario di Bryant, Kim non aveva considerato l’eventualità di un rifiuto. Per essere la madre affidataria, la signora Roberts era molto protettiva nei confronti di Mia.
Kim non poté fare a meno di ripensare alle famiglie con cui aveva vissuto; non tutte avevano deciso di prendere un minore in affido per ragioni altruistiche e molte di loro l’avrebbero data tranquillamente in pasto a chiunque. L’unica eccezione erano stati Keith ed Erica: loro sì che l’avrebbero difesa a costo della vita.
«Comprendo che voglia tutelare la bambina che le è stata affidata», disse Kim, ricordandole con il massimo tatto quale fosse il suo ruolo.
«Non ne parli così, la prego», ribatté la signora, con sdegno. «Questa è la terza volta che Mia viene da noi. Le due precedenti ce ne siamo occupati perché la madre era in carcere. Quando aveva sette anni, ha vissuto qui per quattro mesi. Per i primi tre, non ha detto neanche una parola. Noi ovviamente non l’abbiamo forzata. A scuola era indietro in quasi tutte le materie ed è stata inserita in una classe inferiore. Quando abbiamo iniziato a compiere i primi, impercettibili progressi, sua madre è stata rilasciata e Mia è tornata da lei. Sono onesta, ispettore, mi si è spezzato il cuore».
«E la seconda volta?», domandò Kim.
«Un anno dopo, circa. La bambina era regredita ancora di più. Bagnava il letto, non parlava, era chiusa in sé stessa e a volte mostrava atteggiamenti ostili. Quella volta non abbiamo mai sentito la sua voce».
«E avete accettato di accoglierla una terza volta?», chiese Kim.
«Certamente», rispose lei, come se fosse una scelta ovvia. «È una bambina. Una bambina triste, confusa, ferita. Non è colpa sua. Qualsiasi cosa le sia accaduta, non è…».
«Lei sa cosa le è accaduto?», domandò Kim, ripensando alle foto sul computer di Fenton.
«Ci siamo fatti una nostra idea. Ci sono tanti motivi per odiare sua madre, ma una cosa buona almeno l’ha fatta».
«Tanti motivi?»
«Non si è presa adeguatamente cura di lei, ha permesso che rimanesse indietro a scuola, non è mai riuscita a offrirle la stabilità di cui aveva bisogno. Mi dispiace che sia morta, ma non posso perdonarla per quello che ha fatto alla bambina».
Kim percepì l’emozione che le serrava la gola. Ciononostante, decise di fare un ultimo tentativo.
«Ma, signora Roberts, Mia potrebbe esserci utile per…».
«Ieri sera, detective, così dal nulla, Mia è venuta da me e si è messa a sedere sulle mie gambe. Non mi ha detto niente e dopo qualche minuto è scesa. Ma se quella bambina ha acquistato anche solo un grammo di fiducia in me, lei non potrà convincermi in nessun modo a lasciarvi avvicinare a lei. Mia non ne ha bisogno in questo momento. E per me questa è l’unica cosa che conta».
Era una battaglia persa. L’istinto di protezione di quella donna non faceva distinzione tra le sue figlie naturali e la piccola Mia. Kim sentì una fitta al cuore. Aveva conosciuto quel tipo di amore, era durato poco ma l’aveva incontrato.
Niente l’avrebbe convinta a cambiare idea.
A un tratto le tornò in mente una frase che la signora Roberts aveva pronunciato poco prima.
«Prima ha detto che ci sono tanti motivi per odiare Hayley Smart, ma una cosa buona l’ha fatta. A cosa si riferiva?»
«Al fatto che quella donna finalmente ha avuto il buonsenso di fare la scelta giusta».
«Cioè?»
«L’ultima volta ha rinunciato a Mia per sempre».