Capitolo 1
15 dicembre 2014
Nonostante fossero le sette del mattino, il cielo invernale era buio come a notte fonda quando il detective ispettore Kim Stone scese dalla sua Kawasaki Ninja, si tolse il casco e scrutò l’edificio di mattoni e cemento.
La polizia delle West Midlands, il secondo corpo di Inghilterra e Galles per numero di agenti, vegliava su un territorio di quasi due milioni e novecentomila abitanti che includeva le città di Birmingham, Coventry e Wolverhampton, oltre alla sua zona, l’area della Black Country. Il territorio era suddiviso fra dieci unità locali. La stazione di polizia di Halesowen rientrava sotto la giurisdizione dell’unità di Dudley.
Sulla facciata del palazzo a tre piani le finestre buie si alternavano alle luci accese, forti e brillanti. L’ultimo piano era il meno illuminato: come in ogni stazione di polizia, i pezzi grossi stavano in alto e probabilmente a quell’ora erano ancora sotto le coperte. Era così ovunque. E lei avrebbe dovuto saperlo, visto che aveva lavorato in quasi tutti i commissariati della regione. Un caso in uno, un caso nell’altro, a volte per poco tempo, altre più a lungo. Il suo ultimo incarico a West Bromwich era stato più breve del solito. L’avevano chiamata per lavorare a un caso di rapina a mano armata ai danni di un piccolo negozio di frutta e verdura a due vie di distanza dallo stadio del West Bromwich Albion Football Club, The Hawthorns, poiché il detective ispettore che se ne stava occupando aveva avuto un attacco di peritonite. Il fatto risaliva a due giorni prima e i racconti dei testimoni erano alquanto vaghi e confusi.
Con una squadra formata da un sergente e tre agenti aveva passato al setaccio le dichiarazioni, una per una, e alla fine aveva concluso che nessuno dei testimoni aveva visto il colpevole fuggire dalla scena del crimine, con la sola eccezione del figlio del proprietario che si stava recando in negozio per aiutare il padre e aveva fornito l’unica descrizione di cui erano in possesso. Maschio, alto all’incirca un metro e ottanta, jeans scoloriti, giubbino blu e passamontagna nero.
In assenza di una telecamera, Kim si era recata sul luogo della rapina e aveva ispezionato la proprietà. La bottega era l’ultima di una schiera di cinque negozi; una strada stretta a senso unico conduceva al parcheggio posteriore. Anche da lì, oltrepassando un cancello, si poteva accedere al negozio. Il figlio del proprietario, Ricky, l’aveva accompagnata durante il giro di ispezione e le aveva aperto il bagnetto esterno sul retro, umido e ormai dismesso.
Il water era stato tolto e il locale era stato riempito con vecchi scaffali, barattoli di vernice e un paio di sedie. La detective aveva dato una rapida occhiata all’interno e si era rivolta a Ricky.
«E così hai visto quell’uomo ed era…».
«Alto un metro e ottanta circa, jeans, giubbino blu e passamontagna nero».
Kim si massaggiò il mento e annuì. «Simile a quel passamontagna nero laggiù?», gli chiese, indicando un angolo della stanza in cui qualcuno aveva buttato l’indumento di lana, dimenticandosene.
Il volto del giovane si era contratto in un’espressione colpevole e il caso era stato risolto. I criminali occasionali non avevano l’opportunità di affinare la tecnica con il passare degli anni, né di imparare il mestiere. Commettevano errori, erano soggetti a dimenticanze. Erano goffi e nervosi. E quel diciannovenne si era visto negare le sue ottocento sterline per andare a fare baldoria a Ibiza con gli amici, come aveva ammesso in seguito alla stazione di polizia.
Quella sera l’ispettore capo Worthington aveva insistito affinché tutta la squadra lo raggiungesse al The Dog per festeggiare con un brindisi. Kim c’era andata, ma non aveva bevuto. Non toccava mai un goccio d’alcol. Due ore dopo le avevano comunicato di aspettare l’incarico successivo, visto che non faceva più parte della squadra.
Gli altri erano rimasti sorpresi.
Ma non lei.
E adesso stava per fare la conoscenza del secondo ispettore capo nel giro di due settimane.
Si spettinò i corti capelli neri, appiattiti dal casco. Una rapida occhiata nello specchietto retrovisore le confermò che la frangia le ricadeva sulle sopracciglia senza coprire gli occhi bruni.
“Vediamo questo quanto dura”, pensò, varcando la porta automatica del suo nuovo luogo di lavoro.
La prima cosa che le saltò all’occhio fu l’albero di Natale; un abete artificiale malconcio a cui mancavano alcuni rami, decorato alla bell’e meglio, come se chi doveva occuparsene a un certo punto si fosse stufato. Era addobbato con qualche pallina male assortita e una sola ghirlanda sistemata in modo da coprire la massima superficie, e l’impressione che dava non era esattamente festosa.
Non che a lei interessasse granché. Il giorno in cui avevano distribuito lo spirito natalizio, la sua casa non si era presentata all’appello e lei preferiva così. La stagione dei buoni sentimenti e degli scambi di doni non si confaceva alla sua indole.
«Detective ispettore Stone», disse mostrando il distintivo all’agente al banco.
«Jack Whittle, sergente di custodia», rispose lui porgendole la mano.
Kim lo ignorò.
Ecco che doveva ricominciare tutto da capo per l’ennesima volta. Nuova stazione, nuovi colleghi, nuove regole.
Come quella che prevedeva di toccare gli altri anche quando non era necessario.
«L’ispettore capo Woodward mi sta aspettando», esclamò, mentre il sergente di custodia ritraeva il braccio rimettendolo dietro al banco.
«Le apro», disse lui, indicando con un cenno del capo la porta automatica che richiedeva l’inserimento di un codice.
Kim rimase in silenzio, senza muovere un passo. Era un edificio di tre piani, ed era la prima volta che ci metteva piede.
«Ultimo piano, ala est», ribatté l’uomo in tono freddo, afferrando al volo il concetto.
Forse Jack non era poi così male; poteva tollerarlo finché rimaneva lì. Tanto sarebbe durato poco.
Si fece strada fra corridoi e scale identici a quelli di tutti i commissariati in cui aveva già lavorato, dove ogni ufficio, con i mobili vecchi e spaiati, assomigliava all’altro.
Lloyd House, il quartier generale di Birmingham, faceva eccezione ovviamente. Da quel poco che aveva visto, era arredato con gusto. Da lì arrivava il mobilio dismesso che passava alle stazioni più piccole.
Bussò alla porta con la targhetta di ottone e si costrinse ad attendere istruzioni. Poiché odiava perdere tempo, era sempre tentata di annunciare il proprio arrivo con un colpo ed entrare immediatamente. Dopotutto la stava certo aspettando: quanti altri appuntamenti poteva aver preso alle sette di mattina?
Dall’interno le dissero di entrare e lei obbedì. In fondo era il suo primo giorno.
L’ispettore capo Woodward si alzò e le porse la mano.
Kim si avvicinò e la strinse. La presa dell’uomo era decisa e asciutta.
«Benvenuta a Halesowen», disse, sedendosi ed esortandola a fare lo stesso.
«Grazie, signore», rispose lei, soffermandosi per un attimo sul contrasto fra il bianco smagliante della camicia e la pelle liscia marrone scuro. Sulla punta del naso portava un paio di occhiali da lettura senza montatura.
Sulla parete era appesa la foto di un giovane che assomigliava molto all’uomo dietro la scrivania.
Prima che la assegnassero alla sua squadra, non aveva sentito parlare molto dell’ispettore capo Woodward e non sapeva se fosse un buon segno. Era un tipo pigro, poco degno di nota, o forse si limitava a vivacchiare in attesa della pensione? Kim aveva avuto superiori di ogni tipo. Le era bastato indagare un po’ su di lui per scoprire che il tasso di soddisfazione della sua squadra si aggirava intorno all’ottanta per cento e la percentuale di casi risolti raggiungeva un più che soddisfacente novantacinque per cento. Avrebbe potuto consultare altre statistiche, ma questi erano i due aspetti che le premevano di più. I suoi uomini lavoravano in condizioni dignitose e l’ispettore capo metteva i cattivi dietro le sbarre. Eppure, non aveva mai visto quell’uomo sotto i riflettori durante una conferenza stampa.
«Ho pensato che fosse il caso di scambiare due parole prima che tu inizi», disse, intrecciando le dita e appoggiandole sulla scrivania.
Eccolo, pensò lei, preparandosi ad assumere un’espressione consona. Era giunto il momento della chiacchierata. Se si fosse attenuto al copione di tutti gli ispettori capo che l’avevano preceduto, non ci sarebbe stato molto spazio per il dialogo. Erano conversazioni a senso unico in cui il capo dettava legge, le spiegava cosa avrebbe fatto e cosa si aspettava da lei, una scena simile al ricordo che aveva del suo primo giorno di scuola. A lei non era richiesto fare domande né dare risposte fino alla fine, quando avrebbe dovuto mostrare la sua incondizionata accondiscendenza. Ecco fatto. Missione compiuta. Avrebbe anche potuto alzarsi e uscire dalla stanza in quel momento. Ormai sapeva come funzionava. Avrebbe ascoltato, annuito al momento giusto e poi si sarebbe attenuta alle regole che aveva accettato di seguire.
«Dimmi, Stone, perché praticamente nessuno vuole lavorare con te?», le chiese Woodward, lasciandola subito di stucco.
Prima di tutto, perché si trattava di una domanda e, come tale, richiedeva una risposta. In secondo luogo, perché era diretta, e in terzo, perché non si era messo subito a farle la predica.
«Signore, in tutta onestà, probabilmente non è così facile andare d’accordo con me», disse, e un mezzo sorriso affiorò sulle labbra dell’ispettore capo.
«E perché mai?», domandò.
«Non sono brava con le persone. Non mi piacciono granché».
«Tutte le persone?»
«La maggior parte, quindi preferisco generalizzare».
«Capisco. Quindi ti assumi tutta la responsabilità del fatto che questa probabilmente sarà l’ultima stazione di polizia che accetterà di offrirti un posto?».
Lei ci rifletté per un attimo e si ricordò della sua franchezza di un attimo prima.
«No, signore. Mi impegno duramente e mi piace fare un buon lavoro. Sono una persona diretta e non a tutti piace, ma non mi fermerò prima di aver esaurito tutte le opportunità che mi si presentano. Il mio stile può non piacere, e non mi sembrava il caso di entrare nei dettagli e raccontarle di tutti i coglioni per cui ho lavorato, che fra l’altro sono suoi coetanei. Non al nostro primo incontro, per lo meno».
Con grande sorpresa di Kim, lui piegò la testa all’indietro e scoppiò a ridere.
«Forse in alcuni casi potrei essere d’accordo con te, ma questo deve rimanere tra noi».
Kim non se lo sarebbe mai aspettato.
«A proposito, cos’è successo fra te e l’ispettore capo Worthington?».
Kim non rispose.
«Mi ha riferito di qualche problema di comunicazione come motivazione per il tuo trasferimento», la incalzò.
Kim ripensò alla serata in cui avevano festeggiato al The Dog. A un certo punto si era alzata di scatto dal tavolo e gli aveva rovesciato sulle gambe un boccale di birra e mezzo sacchetto di ciccioli di maiale. Una volta usciti, lui l’aveva trattenuta e le aveva chiesto cosa diavolo le fosse passato per la testa. Lei gli aveva risposto che se l’avesse visto dare un’altra pacca sul sedere a un’agente donna avrebbe presentato una denuncia formale nei suoi confronti. Lui aveva affermato che si era trattato solo di “scherzi innocenti”. Il fatto di essere alticcio non lo giustificava e, a giudicare dalla faccia dell’agente che era stata palpeggiata, non le era parso che apprezzasse lo “scherzo”.
«Sì, signore. Si è trattato di una difficoltà di comunicazione, esattamente».
«Bene», esclamò lui togliendosi gli occhiali. «Non intendo farti grandi discorsi. Io non ti giudicherò e tu farai altrettanto. Ricominciamo da qui».
«Mi sembra giusto», disse Kim, che non riusciva a capire se facesse sul serio. Era il discorso di benvenuto più breve e diretto che le avessero mai fatto.
«Per iniziare avrai una squadra piccola, ma avrai comunque a disposizione due sergenti e una agente. Inutile dire che ci saranno altre risorse disponibili, ma per oggi vorrei che ti dedicassi a conoscere i tuoi colleghi, i loro punti di forza e di debolezza, e in un secondo momento ti assegnerò qualche caso».
Un’intera giornata per fare conoscenza con delle persone con cui non avrebbe lavorato a lungo? Era rimasta quattro mesi con la squadra precedente e alla fine non aveva ancora imparato i nomi di tutti.
Per lei equivaleva a una giornata buttata.
«Signore, a dire la verità, preferirei mettermi subito…».
«Non stento a crederlo, Stone. Ma preferisco che tu faccia come dico io».
Kim acconsentì con un cenno del capo, ma dentro di sé pensò che una volta fatte le dovute presentazioni avrebbe drizzato le antenne per capire se il centralino segnalasse qualche nuovo caso.
«Qualche anticipazione su chi o che cosa mi toccherà?», gli chiese, alzandosi dalla sedia.
Lui scosse la testa. «Lascerò che tu lo scopra da sola. Il dipartimento di Investigazione criminale è al secondo piano, accanto all’ufficio amministrativo. Ti consiglio di andarci e di aspettare che arrivi la tua squadra».