Capitolo 82

«Di che stava blaterando?», chiese Bryant.

Kim chiuse la conversazione ed entrarono nell’ufficio di Marianne per proseguire i colloqui con i dipendenti.

La detective sembrava perplessa. «Sto ancora cercando di capirlo. Qualcosa sul vero significato che si nasconde dietro alle filastrocche».

«Capo, non vorrei dirlo ma…».

«Sì, sì, lo so», lo anticipò Kim. La sfacciataggine con cui Dawson perdeva tempo in occupazioni inutili aveva raggiunto livelli inauditi. Avrebbe parlato con Woody quella sera stessa e l’avrebbe fatto sostituire entro l’indomani mattina.

«Adesso sentiremo Louella Atkins. Avevo convocato Carl, ma a quanto pare la counselor ha fretta di andare».

Kim ingoiò il fastidio che quella situazione suscitava in lei. I due fratelli non gliela raccontavano giusta ed era impaziente di capire il perché.

Ma Carl avrebbe dovuto aspettare, pensò, udendo un colpo leggero sulla porta.

«Entri», esclamò Bryant.

Entrò una donna sui trentacinque anni, con un taglio corto e geometrico sfumato sul collo. La frangia diritta metteva in risalto gli occhi nocciola.

Non era truccata, nonostante le due cicatrici profonde lasciate dall’acne su una guancia. Sorrise e prese posto sulla sedia libera.

«Cercheremo di non trattenerla troppo a lungo, signorina Atkins», esordì Kim.

«Mi chiami Louella, per favore», ribatté. «Se posso rendermi utile in qualche modo, sarò ben felice di farlo».

“Eccetto accettando di spostare il tuo appuntamento e aspettare il tuo turno”, pensò Kim.

«Si è occupata di Hayley Smart quando era qui?»

«Ho fatto del mio meglio, detective, ma Hayley non si confidava facilmente».

Kim iniziava a domandarsi se Hayley avesse mai parlato con qualcuno che non fosse sua figlia. Mettendo insieme i racconti di chi la conosceva, stava emergendo il ritratto di una donna solitaria, priva di parenti e amici.

«È rimasta qui per tutti i sei mesi?»

«Sì, esatto».

«Le andrebbe di raccontarmi qualcosa di ciò che vi siete dette?», la incoraggiò Kim.

«Era una donna sola, detective. Di questo sono certa. Hayley era il tipo di persona che aspetta sempre il “giorno in cui”».

Kim scosse la testa, senza capire cosa intendesse.

«Sin dall’infanzia, si è convinta che le cose sarebbero migliorate al verificarsi di un evento particolare. Mi ha raccontato di essere stata certa che la sua vita sarebbe cambiata il giorno in cui sua madre fosse andata a prenderla. Quando quel sogno svanì, iniziò a credere che sarebbe successo il giorno in cui avesse trovato una famiglia affidataria che le volesse bene. Con il tempo anche quella speranza si spense, allora si convinse che la sua vita sarebbe arrivata a una svolta il giorno in cui si fosse liberata dei servizi sociali per cavarsela da sola». Louella fece una pausa. «Non percepiva il sistema assistenziale come un ambiente accogliente e protettivo in cui…».

«È per questo che ha avuto Mia?», domandò Kim. Lei ne sapeva qualcosa di quegli ambienti.

«Credo di sì. Se avesse avuto qualcuno di cui prendersi cura, la sua vita sarebbe migliorata».

«Hayley ha mai pensato che Luke Fenton abusasse sessualmente di Mia?», chiese Kim, sperando che la counselor le desse una risposta negativa. Per qualche ragione, voleva credere che Hayley non avrebbe messo sua figlia in pericolo, se ne fosse stata consapevole.

Louella rifletté. «Secondo me sì, ma non voleva crederci».

«Lei pensa che fosse troppo vulnerabile, troppo bisognosa di amore per resistere alle manipolazioni di Luke?».

Louella annuì. «Come senz’altro saprà, gli abusanti giocano sulle emozioni, soprattutto sulla paura. Ai bambini diranno che, se parlano con qualcuno, succederà qualcosa di orribile a loro o ai loro cari. Ma ci sono anche altri tipi di paura: paura di esporsi, del dolore fisico, di restare soli, e personalmente credo che Luke abbia convinto Hayley di essere l’unica persona che poteva amarla. Probabilmente ha fatto leva anche sul suo desiderio di credere che non fosse successo niente di male. È stato il primo uomo a mostrare interesse nei suoi confronti. L’ha fatta sentire importante, l’ha fatta sentire una donna, probabilmente per la prima volta in vita sua».

In base ai resoconti di chi lo conosceva, Kim non avrebbe mai detto che Fenton possedesse tanto carisma da poterla attirare in casa sua una seconda volta. Non aveva esercitato quel tratto della sua personalità nel lavoro o coi vicini. Ma loro non avevano una bambina di nove anni, disse una vocina nella sua testa. La sua preda, in realtà, era stata Mia. Corteggiare Hayley era servito unicamente a raggiungere il suo obiettivo.

«Abbiamo provato a farle acquisire fiducia in sé stessa. Le sue capacità erano… ehm… limitate, quindi trovare lavoro…».

«Aveva qualche disturbo dell’apprendimento?», disse Kim, chiedendosi in quali altri modi il destino si fosse accanito contro di lei.

«Era a malapena alfabetizzata, ma abbiamo tentato comunque di aiutarla. Mi è sembrato che avesse fatto qualche progresso, in termini di fiducia in sé stessa e autostima».

«Ma nonostante tutto è tornata da lui», concluse Kim.

Il volto di Louella si rabbuiò per un istante.

«Lei che ne pensa?», chiese la detective.

«Posso essere onesta?»

«È preferibile», ribatté Kim. Quella donna aveva qualcosa da dire.

«Mi dispiace che sia morta, ma adesso Mia è al sicuro. È stata accolta in questo posto, un’occasione importante che altre avrebbero sfruttato più saggiamente. È stata una perdita di tempo. Questo luogo è il paradiso per donne e bambini maltrattati. Marianne ha fatto tutto il possibile per darle l’opportunità di ricominciare, per metterla nelle condizioni di avere una vita migliore, per sé stessa e per Mia. Lo ha fatto con tutti noi. Ho tentato di consigliarla, e anche Marianne ci ha provato».

«Anche Marianne faceva la counselor prima di aprire le strutture, non è vero?», chiese Kim, ripensando agli appunti di Stacey.

«Sì, è così che ha conosciuto molti di noi. Lei dà una mano a chiunque ne abbia bisogno. La maggior parte di noi non avrebbe niente se non fosse per lei. Quindi, sinceramente, trovo che buttare nella spazzatura quei sei mesi e tutti gli sforzi fatti tornando dall’uomo che aveva abusato della sua bambina sia ingiustificabile».

Mentre parlava, Louella si era animata e aveva alzato il tono della voce.

«Lo trova ingiustificabile nonostante sia al corrente del suo passato?», domandò Kim.

«Certo. Era una madre, prima di ogni altra cosa».

Non era il caso di mettersi a discutere, anche se una parte di lei avrebbe voluto. Piuttosto, le premeva approfondire un aspetto che era emerso da quanto aveva detto. «Dunque, mi sta dicendo che gran parte delle persone che lavorano nelle strutture sono conoscenze di vecchia data di Marianne?».

Louella annuì. «È una persona molto generosa, pronta a donare tutto alle vittime di violenza, sia domestica che sessuale. Se hanno bisogno di un posto in cui stare, lei fa del suo meglio per prendersi cura di loro. E ci sono persone che dopo tutti i suoi sforzi le voltano le spalle, quando lei cerca solamente…».

Kim si perse durante il panegirico della counselor in difesa della sua eroina.

«…e non dovrebbero giudicarla troppo duramente per quello che ha fatto. Se avesse avuto scelta, non avrebbe…».

«Se avesse avuto scelta rispetto a cosa?», domandò Kim, raddrizzandosi sulla sedia.

«A mandare via Hayley», rispose, aggrottando la fronte.

«Quando?», chiese Kim. La vittima era rimasta nascosta per settimane.

«Mi dispiace, pensavo che lo sapeste. Hayley è venuta qui martedì sera, chiedendo di essere riammessa».

Hayley Smart era stata lì la sera in cui aveva perso la vita.