Capitolo 59
Wren’s Nest era nato negli anni Trenta come complesso di edilizia popolare per ospitare le famiglie sgomberate dai bassifondi del centro cittadino.
Gli anni Ottanta ne avevano segnato il declino, dovuto alle pessime condizioni degli alloggi, al proliferare del crimine, dei comportamenti antisociali, dei furti di auto e negli appartamenti. Il tasso di disoccupazione era nettamente superiore alla media nazionale e la rovina sembrava ormai irreversibile. Negli anni Novanta il municipio aveva investito milioni di sterline in un progetto di riqualificazione, costruendo nuovi muri di cinta attorno ai cortili, installando doppi vetri e riscaldamento centralizzato nelle abitazioni. La criminalità era diminuita, così come la disoccupazione, e Wren’s Nest era sopravvissuto, mantenendosi in un equilibrio precario dettato dalla situazione socioeconomica del Paese.
Gli abitanti avevano a disposizione scuole, negozi e il ristorante Summer Road Chippy, davanti al quale Bryant stava cercando di parcheggiare.
«Secondo te è un’abitudine?», domandò il sergente, fermandosi dietro a due auto pattuglia. «Prendere il telefono e pretendere che tu lo raggiunga da qualche parte».
«Forse questa sarà l’ultima volta», rispose Kim scendendo dall’auto.
Girò l’angolo, scorgendo un gruppetto di giubbini segnaletici accanto a una fila di bidoni della spazzatura.
Sì, avrebbe dovuto parlare con Keats. Non le piaceva sentirsi dare ordini senza nemmeno sapere a cosa stesse andando incontro.
«Scusate», disse, passando in mezzo a due agenti che stavano cercando un appiglio per fissare il nastro.
«Allora, Keats, che diavolo…?».
Kim ammutolì. Il medico legale si fece da parte senza dire una parola, scoprendo una figura distesa a terra.
Come prima cosa, la detective scorse i piedi nudi; le scarpe erano buttate poco distante. Dall’orlo dei jeans scuri e logori, di una taglia di troppo, spuntava il tatuaggio di un uccello. Sotto la giacca di jeans aperta spuntava un maglioncino di lana a righe.
Lo sguardo di Kim risalì fino allo scempio che avevano fatto del collo, tagliando di netto la testa.
Lo squillo del telefono ruppe il silenzio.
Kim lo estrasse di tasca e rispose senza staccare gli occhi dal cadavere.
«Dimmi, Stace», esclamò, sottovoce.
«Capo, credo di aver trovato il numero di telefono della nostra donna, Hayley».
Lo sguardo di Kim si soffermò sulla voglia che copriva l’occhio sinistro.
«Non ci serve più, Stace. È proprio qui, davanti a me».