Capitolo 37

Dawson si augurò di avere maggiore fortuna con la casa successiva a cui avrebbe bussato, ma più si allontanava dall’abitazione di Luke Fenton, più si sentiva demoralizzato.

Non gli era andata granché bene nemmeno sul posto di lavoro della vittima. Il responsabile gli aveva detto solo che il magazziniere non si era mai integrato nel gruppo dei compagni di lavoro. Non aveva mai partecipato alle cene di Natale, aveva evitato i ritrovi con i colleghi al pub e a malapena rivolgeva loro la parola durante il giorno. Quindi, tutti avevano recepito il messaggio e l’avevano lasciato perdere. Non avevano mai saputo niente di lui, men che mai di eventuali donne o bambine presenti nella sua vita. Dawson pensò che se avessero saputo che razza di persona era l’avrebbero apprezzato ancora meno, e di parecchio.

Al momento gli sarebbe servito il tipico vicino ficcanaso, quello che sa sempre tutto di tutti.

Bussò alla porta del civico 81. Nessuna risposta, nonostante il rumore della radio proveniente dall’interno.

Bussò una seconda volta, più forte, e controllò l’orologio. Non gli rimaneva molto tempo prima dell’appuntamento all’obitorio per l’identificazione di Luke Fenton.

«Frena i cavalli! Arrivo», esclamò una stridula voce femminile. Quando la porta si aprì, il sergente si trovò davanti una anziana signora che si muoveva con un deambulatore. La sua chioma candida aveva l’aria di non vedere la spazzola da giorni.

Lo squadrò dalla testa ai piedi. «Non mi servono finestre».

Dawson avrebbe potuto proporle di chiamare il commissariato per ricevere conferma della sua identità, ma sospettava che gli avrebbe semplicemente sbattuto la porta in faccia.

«Non vendo finestre. Potrei farle un paio di domande, signora…».

«Non glielo dico, il mio nome. Altrimenti mi svuoterà il conto in banca ancor prima che ritorni alla mia minestra».

Considerata la situazione in cui versavano le sue finanze, probabilmente non era andata molto lontana dalla verità.

«Sto cercando di raccogliere informazioni su quel giovanotto che vive in fondo alla via. Luke Fenton, abita al numero 81».

La donna fece capolino dalla porta, come se volesse darsi una rinfrescata alla memoria. «Intendi quel tizio scorbutico?».

A Dawson sfuggì un sorriso. Stando a quello che gli avevano detto, ci aveva azzeccato. «Sì, proprio lui. Lo conosceva bene?».

Lei scosse il capo. «Non saluta mai quando mi vede alla finestra. Ti ricordi quando ha fatto tutta quella neve? Tante persone sono venute a vedere se avevo bisogno di qualcosa, ma lui non si è visto. Non si è mai offerto di aiutare nessuno. Che brutta gente».

«Sa per caso se…?»

«E la sua amica era come lui».

Dawson cominciava a pensare che a volte era meglio tenere la bocca chiusa. Era tutta la mattina che rivolgeva le stesse domande al vicinato senza ricavare uno straccio d’informazione.

«Quando passava qui davanti teneva la testa bassa, sempre con quella bambina per mano. Carina! Comunque non capisco cosa ci trovasse sua madre in quello lì. Certo, non si poteva definire bella, e quella voglia sull’occhio sinistro non era d’aiuto. Forse gli era semplicemente grata per essersela presa, con una bambina piccola e quella macchia sulla faccia».

Se Dawson di tanto in tanto veniva etichettato come politicamente scorretto, quella donna era priva di ogni ritegno.

«Pensavo che fosse rinsavita. È scomparsa per qualche mese, poi un bel giorno è tornata da quell’idiota».

Dawson aggrottò la fronte, ripensando a quanto gli aveva detto il capo a proposito dell’interesse della vittima nei confronti delle bambine. Forse quella donna sapeva e l’aveva lasciato fare? Ma in quel caso, perché diavolo era ritornata da lui?