Capitolo 97

Bryant accostò vicino al marciapiede sulla via principale di Dudley, per la precisione davanti al pub The Full Moon. Quando Kim le aveva chiesto se potesse fare un salto alla casa d’accoglienza poco prima delle dieci per parlare con Diana Lambert, Marianne le aveva risposto che Diana stava festeggiando in quel locale con alcune compagne della struttura, visto che la riunione con i servizi sociali era andata a buon fine. Marianne era stata invitata, ma non era potuta andare.

Quando Kim varcò la soglia del pub fu quasi respinta da un turbine di veli, coroncine e boa variopinti. La birra a buon mercato attirava tutti gli addii al celibato e al nubilato nel raggio di cinque chilometri.

Scorse Diana Lambert seduta a un tavolo con altre tre donne, un po’ più avanti, dietro alla slot machine. Rimase colpita nel vedere Diana che ondeggiava a ritmo di musica, mentre le altre tre se ne stavano immobili.

Quando si avvicinò, ebbe la netta sensazione che fossero a disagio.

«Diana Lambert?», le chiese.

Diana si voltò verso di lei e annuì.

Kim le mostrò il distintivo. «Posso parlarle un momento?». Si rivolse alle altre componenti del gruppo. «È urgente».

Le tre donne presero le giacche e le borse appese agli schienali delle sedie.

«Io comunque stavo per andare, Diana», disse una.

«Sì, è ora di rientrare», si unì un’altra.

«No, ragazze, rimanete, dobbiamo fare feeeeeestaaaa», strillò Diana, agitando i pugni in aria. «Dobbiamo brindare alla mia vittoria».

Le tre donne la salutarono con un sorriso bonario e si avviarono all’uscita.

Kim si sedette.

Per farsi spazio, spostò la borsa di Diana e alcuni bicchieri che ingombravano il tavolo.

«Diana, ho bisogno di parlare di Carl Wickes e della conversazione che avete avuto oggi».

«Vi piacciono i capelli?», chiese loro, scuotendo la testa come la protagonista della pubblicità di uno shampoo. «Nuovo stile. Carl ha detto che gli piacciono».

«Davvero?», le domandò Kim, sebbene fosse certa che non avessero parlato di acconciature per venti minuti.

Lei annuì, con fare timido.

«Parla spesso con Carl?», chiese Kim.

«Quando riesco a trovarlo», rispose lei con un sorriso sornione.

Non le era sembrato che facesse di tutto per nascondersi, pensò la detective ricordando il filmato della telecamera.

«Gli parla di suo marito, di sua figlia, degli abusi?».

Diana socchiuse gli occhi. Forse aveva alzato un po’ il gomito, ma riusciva ancora a connettere.

«Lo sanno tutti ciò che ha fatto quel bastardo. Al centro non ci sono segreti e io non ho niente da nascondere».

«Cosa gli ha raccontato, esattamente?», chiese Kim.

«Gli ho detto che Steve ha provato a portarmi via la mia bambina. Ha provato a sbarazzarsi di me per continuare a fare i suoi porci comodi indisturbato».

«Come?»

«Quel bastardo ha tentato di allontanarmi dicendo che stavo mettendo a rischio la vita di nostra figlia. Ma io gli ho dato il benservito».

Un’espressione trionfante le illuminò il volto.

Kim provò una strana stretta allo stomaco. C’era qualcosa che non quadrava.

Lanciò un’occhiata a Bryant, e la sua espressione perplessa fu una conferma. Ripensò alle parole di Marianne.

«C’è stato un incidente stradale?», le chiese. «Sua figlia è rimasta coinvolta?».

Diana agitò una mano in aria. «Non è stato niente. Ho fatto solo un graffio alla carrozzeria andando a prendere Lily a scuola. Le è venuto un bernoccolo e Steve ha detto che avrei dovuto portarla all’ospedale». Fece una pernacchia e scoppiò a ridere. «Non era necessario un medico per metterle un cerotto sulla fronte», concluse sbuffando.

Kim non conosceva bene l’uomo che le stava accanto, ma era sicura che, se sua figlia avesse avuto un incidente stradale, a prescindere dalla gravità, l’avrebbe portata al pronto soccorso. E così avrebbero fatto molte madri.

Ma negli ospedali fanno troppe domande, le suggerì una vocina nella sua testa.

Kim rimase in silenzio per qualche secondo. Diana aveva bevuto ed era in vena di parlare.

«Abbiamo avuto una lite pazzesca. Quel bastardo mi ha accusato di essere una drogata solo perché prendevo un paio di antidolorifici. Lo stronzo ha minacciato di denunciarmi, ma non aveva previsto le conseguenze».

«Cos’ha fatto?», domandò Kim, sebbene avesse già un’idea.

«L’ho lasciato e sono andata alla casa d’accoglienza, e solo dopo ho scoperto gli abusi».

«Oh», esclamò Kim. La successione degli eventi era diversa da quella esposta da Marianne. La direttrice della struttura aveva affermato che Diana era a conoscenza degli abusi, e che proprio per questo il marito aveva tentato di screditarla accusandola di fare uso di farmaci.

«Le hanno trovato una sistemazione?», chiese Kim. «Nella maggior parte delle strutture vengono ammessi solamente le donne e i bambini che hanno subìto abusi di vario genere da parte del capofamiglia o di un parente».

«Sì… mi fate confondere. Lily mi ha raccontato di suo padre e poi lui mi ha accusato di prendere troppe pillole e…». La voce di Diana si affievolì e la sua espressione si fece corrucciata; con il cervello annebbiato dall’alcol non riusciva a seguire il copione.

Kim scrutò con attenzione i suoi occhi bruni e notò le pupille dilatate. Era a conoscenza di varie sostanze che, agendo sui neurotrasmettitori, causavano un aumento delle dimensioni della pupilla: antidepressivi, anfetamine, LSD, ecstasy e cocaina.

Il braccio sinistro di Kim scattò all’improvviso, facendo cadere la borsa di Diana dal tavolo. Prima che la donna avesse il tempo di reagire, Kim si chinò per raccoglierla e radunare le sue cose sparse sul pavimento.

Quando si rialzò, nella mano destra stringeva la borsa e nella sinistra diversi flaconi di pillole. Tre, per la precisione.

«Un paio di antidolorifici?», le chiese, agitandoglieli davanti al viso.

Diana, finalmente consapevole della gravità della situazione, allungò goffamente una mano per prenderli, ma Kim li allontanò.

«Signora Lambert, ha forse mentito sugli abusi sessuali che suo marito, stando alle sue dichiarazioni, avrebbe perpetrato ai danni di sua figlia per distogliere l’attenzione dalla sua dipendenza?».

Nonostante Diana scuotesse il capo, il vivo rossore che le colorì le guance confermò il sospetto di Kim.

La detective si alzò di scatto dalla sedia e si precipitò verso l’uscita.

«Piano, capo», esclamò Bryant, seguendola all’esterno.

«Non abbiamo un minuto da perdere, Bryant. Il nostro assassino sta per uccidere un uomo innocente».